I Caffè

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Le prime Botteghe da caffè vennero aperte nella seconda metà del Settecento, forse seguendo l'esempio degli omonimi locali veneziani decantati dal Goldoni, ma assumendo immediatamente un'inconfondibile impronta viennese negli arredi e nei servizi offerti. I gestori di questi locali erano generalmente svizzeri (dei grigioni) e greci come greci, ma anche tedeschi, levantini ed ebrei erano i negozianti che, nella prima metà del XVIII secolo avevano, per primi, importato le preziose bacche di caffè.

Interno del Caffè Tommaseo dipinto dal goriziano Vittorio BolaffioLa prima Cafeteria di cui si hanno notizie fin dal 1768 era quella di Benedetto Capano, sita in contrada Bottari (poi S.Nicolò) al numero tavolare 775. A Benedetto Capano, proprio nel 1768, veniva recapitato un decreto della "C. R. Commissione di Pulizia (sic) e Sicurezza Pubblica" dove si leggono interessanti disposizioni relative ai locali pubblici.
Per esempio veniva concessa, alla Bottega da caffè, l'esclusiva della vendita di "Acque fredde e calde, Thè, Caffè, Cioccolata, limonate, sorbetti ed Acque sciropate" e la possibilità di tenere "Bigliardi da soldo e cuocere biscotterie".  Degna di nota è pure la raccomandazione fatta  al proprietario di non permettere nel suo nel suo locale "Scandali, ritrovi sospetti e Giochi, e di contribuire alle quiete e morigerateza". Alla morte del propritario, questa prima Bottega da caffè venne rilevata dal giovane di bottega Giacomo Miniussi che mutò l'insegna in Da Caponi.

Numerosi erano i caffettieri, nell'Ottocento, e svariati i locali sparsi per tutta la città. I Caffè che lavoravano di più  erano indubbiamente quelli siti in Piazza Grande. Il più vecchio era il Carrara che poteva tener aperto tutta la notte. Se di giorno al Caffè si trovavano rivendugliole e capiscarichi che passavano il tempo giocando a faraone o panfil, di sera il locale era frequentato dalle compagni che si esibivano nel vicino teatro.  Sempre in Piazza Grande, nel secolo sorso, sotto il Municipio c'era il Caffè Litke,  poi Municipio, quindi Garibaldi, al pianterreno del Palazzo del Lloyd c'era il Caffè Orientale  dove si ritrovavano pensionati, mentre palazzo Stratti ospitava, allora come oggi, il Caffè degli Specchi  che riflette l'immagine di una città cosmopolita.

Poco distante dalla Piazza Grande, il Caffè Tomaso, oggi Tommaseo, allora rinomato per i suoi gelati, il Caffè Nuovo sito sotto la Dogana e il Caffè Stella Polare. Al caffè si andava per chiacchierare, riposarsi e bere il caffè seguendo un piccolo rito che consisteva nell'accompagnare la tazzina con un bicchier d'acqua spruzzata di mistrà. In alcuni locali c'era pure l'abitudine di sorbire il "caffè al bagno", cioè di berlo anche quando era traboccato nel piattino.

Dalla fine del Settecento, al Caffè, venne introdotta anche la possibilità di leggere i giornali. Fu il Commercio il primo locale che mise a disposizione di gente polita, a pagamento, sedici gazzette italiane, tedesche, francesi ed inglesi.

La clientela dei Caffè era, secondo Pierantonio Quarantotti Gambini (cfr. Al Caffè con Quarantotti Gambini inEnrico Falqui, Caffè letterari, Roma, Canesi, 1962), fortemente  caratterizzata: c'erano i Caffè spiccatamente politici, quelli riservati agli ufficiali e agli alti funzionari austriaci, quelli prediletti dalla borghesia professionista, altri sede di incontro di anziani uomini d'affari o di sportivi e c 'erano, ancor più numerosi degli altri, i Caffè letterari.

Tornado alla descrizione dei locali, va detto che, accanto ai maggiori, c'erano moltissimi piccoli Caffè caratterizzati per l'immancabile presenza della cuccuma di rame che bolliva instancabile, sul fornello. (Soltanto con il primo dopoguerra il moka abbandonò la cuccuma per diventare espresso e uscire dagli oziosi Caffè per entrare nei frettolosi bar) Il più pittoresco pare fosse  il Caffè Greco sito in Piazza della Borsa con tanti tavoli esterni dove i clienti levantini fumavano il narghilé o adoperavano lunghi bocchini e pipe di gelsomino. Non si poteva fumare invece al Caffè della Borsa, poi Borsa Vecchia,   dove si ritrovavano gli ebrei polacchi che venivano in città per acquistare cedri rituali. C'erano Caffè, per così dire, malfamati quali Alla Minerva e Marittimo siti in quella Via Crosada, ricordata da ogni triestino per la vicenda di Antonio Freno.

Moltissimi sono i nomi che si potrebbero menzionare di Caffè che furono e di Caffè che sono ancora l'immagine di Trieste, di una città che muta volto e abitudini passando dalla stagione invernale a quella estiva. Anche i Caffè si adeguano alle stagioni: d'inverno sono affollatissime le sale interne con il loro arredo ottocenteco o liberty e lo spirito inconfondibilmente viennese; d'estate vengono preferiti i tavolini all'aperto e i Caffè sembrano quelli di una località balneare. Ricordiamo, per concludere la carrellata,  il Caffè San Marco che, inaugurato nel 1914, e superate alterne vicende fauste e infauste, è ancor oggi testimone dello spirito mitteleuropeo della città.