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Rapporti con l’insediamento, il paesaggio e le attività economiche

Nella nostra regione è particolarmente evidente il ruolo che assunsero le vie di comunicazione nella formazione delle città, esaminando la disposizione delle più importanti città romane lungo gli assi portanti delle comunicazioni fra il nord e il sud degli Appennini e fra l'est adriatico e l'ovest tirrenico e subalpino: la via Emilia e la via Flaminia svolsero proprio questa funzione non solo di collegamento, ma anche di organizzazione delle più importanti manifestazioni insediative romane e poi medievali: proprio su queste strade, generalmente all'incrocio con corsi d'acqua, sorsero le principali città della regione, per lo più su centri abitati minori preesistenti.
Le condizioni della viabilità si legano però strettamente in ogni tempo anche alle vicende del potere politico, facilitando od ostacolando gli spostamenti, condizionando i mezzi di trasporto e la velocità della trasmissione di notizie, costituendo uno dei modi scelti dal potere per il suo intervento sul territorio controllato. Ogni governante che amministrò o pretese di amministrare l'Italia dopo che fu sovvertito il dominio degli ultimi imperatori romani dovette fare i conti con le proprie esigenze di mobilità e con gli spostamenti dei propri avversari lungo le antiche strade tracciate dai Romani o lungo le nuove incerte e variabili percorrenze nate dalle mutate condizioni degli insediamenti e dalle diverse esigenze di mobilità, nonché di impianto e manutenzione di strade.
Mancando generalmente sul territorio, e spesso anche nelle città, ogni forma di manutenzione regolare, le belle strade selciate romane o le più semplici inghiaiate furono sommerse dalle alluvioni o i loro blocchi regolari usati come materiale da costruzione, senza che le lontane autorità centrali potessero o volessero intervenire. Ci si occupa nella legislazione, a partire dall'età carolingia, della manutenzione dei ponti e delle strade, ma si ha la netta impressione che la prescrizione resti un ideale difficilmente realizzabile.
Tuttavia una rete di vie di comunicazione era rimasta aperta attraverso le vicende dell'occupazione longobarda: castelli bizantini organizzati nella grande e articolata linea del limes difensivo, fronteggiati da castelli longobardi, mostrano ancora nelle strutture archeologiche o nelle testimonianze documentali lo stretto rapporto che correva (e correrà sempre) fra controllo delle vie di comunicazione e controllo del territorio. Tanto che vi è chi ravvisa nella localizzazione di queste strutture fortificate di epoca più antica efficaci indicatori di strade scomparse o modificate o conferme di antichità di percorsi ancora in uso o riconoscibili sul terreno.
I re carolingi e dopo di loro i re e imperatori di Germania e d'Italia, costretti ad esercitare un potere itinerante, che acquistava peso e valore per i sudditi solo se periodicamente compariva ad esigere i suoi diritti sovrani, si sforzarono di mantenere in buona efficienza e soprattutto libere le strade; in realtà, proprio certe azioni di imperatori, che concedevano privilegi, immunità, diritti di esazione di pedaggi su strade, traghetti, vie d'acqua, a sudditi fedeli e potenti minavano le basi del libero transito su un territorio. Spesso più che rare e vane imposizioni legislative valeva la fondazione di un'abbazia regia per controllare un tronco stradale aperto di recente o riaperto, oppure l'opera costante e silenziosa degli uomini che facevano capo per le loro esigenze religiose e civili ad una pieve per assicurare il transito su un percorso viario.
Per la verità i sovrani franchi e tedeschi s'interessarono ben poco della manutenzione delle strade, anche se il loro potere si basava proprio sul continuo controllo personale dei territori e dei potentati sottoposti. Solo quando i Comuni cominciarono a controllare le vie di comunicazione che attraversavano i loro territori, i sovrani svevi si ricordarono di avere giurisdizione anche sulle strade e imposero precisi obblighi e contribuzioni a questi nascenti centri di potere che erano difficili da tenere legati al potere centrale, come invece si poteva fare, mediante legami personali, con la classe nobiliare.
Molto spesso l'interesse dei sovrani e dei potenti verso le strade consisteva nel controllo di un transito di fondamentale importanza mediante la fondazione di un'abbazia regia o di un hospitale per pellegrini collegato ad una chiesa o ad un monastero, o la costruzione di un castello. A queste fondazioni si ispireranno più tardi i Comuni, imitandole e aggiungendo una creazione originale, i borghi franchi, che si servivano della vera forza della struttura comunale - la popolazione - per porre una efficace ipoteca su un confine disputato, su una via di comunicazione, sul passo di un fiume, su un valico montano.
D'altronde, che le strade non fossero fra i più importanti pensieri degli imperatori è testimoniato dal fatto che solo a Roncaglia, nel 1158, dopo secoli di silenzio, si prende in considerazione il problema delle regalie, i diritti sovrani, fra cui quelli su strade e ponti. E il fatto che siano i giuristi bolognesi a mettere l'accento su tali diritti fa capire come questa nuova sensibilità sia nata nell'ambito comunale e non in quello imperiale.
Se i movimenti degli eserciti furono quelli che soprattutto affollarono le strade nei primi secoli del Medioevo, il periodo centrale e finale di questa epoca vide intensificarsi e diversificarsi il flusso di chi viaggiava per affari e traffici commerciali. Sarà il crescere progressivo delle fonti e il loro divenire più capillari e abbondanti, sarà invece un effettivo processo di crescita quantitativa dei commerci, ma si ha la netta sensazione che i carri e le cavalcature dei mercanti percorrano con molto maggiore frequenza le strade principali delle nostre regioni e spesso anzi anche quelle secondarie, aprendo nuove piste alternative ai vecchi percorsi, dove un pedaggio troppo esoso o un ponte crollato o un valico appenninico troppo alto o mal frequentato consigliavano una deviazione a chi molto aveva da perdere da esattori troppo sbrigativi, malfattori o calamità naturali.
Il commercio a lungo raggio, con l'Oriente o l'Europa centrale, non era mai cessato: le spezie, il sale, i tessuti pregiati, perfino l'ambra non erano mai mancati nelle case dei potenti. Quando però la crescita demografica, avviatasi timidamente in epoca carolingia e affermatasi più decisamente fra XI e XIII secolo, fece da acceleratore alle esigenze dei mercati locali di ricevere merci straniere e di esportare le proprie eccedenze, si precisò la necessità di avviare una rete più fitta di scambi, di impiantare un numero maggiore di piccoli mercati sul territorio, di intensificare e stabilizzare gli scambi fra regioni vicine.
Allora i mercanti, i piccoli operatori locali o le grandi famiglie di banchieri, cambiatori di moneta e commercianti iniziarono a percorrere tutta la fitta rete di strade di rango minore, ad avventurarsi anche d'inverno sui valichi appenninici nei due sensi per battere sul tempo i concorrenti, a richiedere ovunque si trasferissero locande, osterie, alberghi dove poter mangiare e bere, dormire e accudire le bestie da soma o da traino e le cavalcature. Si può dire che allora ogni ponte o guado, ogni valico molto frequentato, ogni suburbio di città o borgo di qualche importanza, accanto all'hospitale religioso, vide il nascere di osterie e locande che offrivano a pagamento vitto e alloggio (a volte molto spartano ed essenziale ma spesso anche molto "professionale") e gratuitamente, perché quello non si negava a nessun cristiano, fuoco per riscaldarsi e asciugarsi e paglia su cui riposare.
Nessun comune volle rischiare di essere tagliato fuori dalle grandi correnti degli scambi e quindi tutti previdero forme di tutela dei mercanti assaliti dai predoni di strada, facilitazioni doganali per gli operatori di città amiche e per chi offriva le merci più richieste e ambite.
Nei secoli più lontani del Medioevo, quando l'organizzazione statale romana si disgregò ovunque, lasciando ampi vuoti d'intervento concreto nella vita dei cittadini, l'unica forza unificatrice fu la Chiesa che, con la sua ampia rete di diocesi, pievi, cappelle e monasteri, provvide non solo alle necessità spirituali ma non di rado anche a quelle materiali degli uomini. Per mantenere la sua unità d'intenti e d'impostazione teorica e di applicazione pratica delle direttive centrali, la gerarchia ecclesiastica aveva bisogno di mantenere stretti contatti con i gradi inferiori sparsi sul territorio; i pontefici sancirono assai presto l'obbligo per i vescovi vicini a Roma di recarvisi ogni anno per il 15 maggio, mentre per quelli più lontani l'obbligo era meno pressante ma veniva periodicamente riaffermato nei concili.
Ma a parte queste necessità istituzionali, le leggi canoniche molto presto stabilirono genericamente l'obbligo per i cristiani che volessero dimostrarsi tali di soccorrere i loro simili nel bisogno. L'assistenza ai viandanti, ai poveri, ai malati fu una delle forme in cui si esercitò la carità degli uomini di chiesa, con la fondazione degli xenodochia od hospitalia, strutture affiancate a chiese o monasteri e demandate alla cura di chi viaggiava ed era in condizioni di povertà e, non di rado, di malattia, causata dagli strapazzi e privazioni del viaggio. Questo tipo di ospitalità si esercitava su una categoria particolare di persone, i pellegrini: pellegrino è colui che, per dirla con Raymond Oursel, "abbandona i luoghi a lui consueti, le proprie abitudini e il proprio ambiente affettivo per recarsi in religiosità di spirito, fino al santuario che si è liberamente scelto o che gli è stato imposto dalla penitenza...", sperando da questo viaggio, dalla preghiera e dalle privazioni che lo hanno accompagnato e dalla visita al luogo santo la salvezza spirituale o il soddisfacimento di un desiderio personale.
Per gli hospitalia si scelsero dapprima i luoghi più problematici di ogni percorso: un passo montano, un ponte o l'attraversamento a guado o con traghetto di un fiume, quelli che ponevano sempre maggiori problemi a chi viaggiava; non di rado i beni che i devoti lasciavano a queste fondazioni erano vincolati sia all'assistenza materiale dei pellegrini sia alla manutenzione della strada sul passo o del ponte o al mantenimento del servizio di traghetto.
La regola benedettina originaria mostra un preciso codice di comportamento da tenersi con gli ospiti, siano essi poveri viandanti, ricchi signori o monaci: l'abate e i confratelli dovranno farsi incontro all'ospite, pregare con lui e scambiare il bacio della pace, lavargli i piedi e le mani e offrirgli l'alloggio più confacente al suo rango.
Il monastero carolingio di S. Gallo, in Svizzera, offre un esempio istruttivo e completo delle varie funzioni legate all'ospitalità che trovavano posto nei suoi edifici: alloggi separati per nobili, religiosi e pellegrini poveri, tutti lontani dalla chiesa per non disturbare le funzioni, bagni e latrine per gli ospiti di alto rango, cucine separate. I monasteri e gli ospitali generalmente non raggiungevano questa complessità e si limitavano ad avere qualche stanza con camino per alloggiare separatamente uomini, donne e religiosi.
Anche la posizione in primo luogo di ospitali e poi anche di monasteri e pievi ci può oggi fornire dati importanti sul tracciato delle strade medievali, dal momento che queste istituzioni si appoggiavano alle vie si comunicazione per svolgere i loro compiti istituzionali, l'assistenza per i primi e i secondi, l'ammaestramento del popolo cristiano attraverso la messa e i sacramenti le pievi.