L'alluvione del Po del 1951

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alluvione del Po Il Po è lungo 652 km, nasce a Crissolo, nel gruppo del Monviso nelle Alpi Cozie a 2020 metri di altezza. Esso è il più imponente fiume italiano; ha condizionato l'economia di tutta la pianura padana e molte espressioni culturali ed artistiche che hanno lasciato importanti segni lungo le sue sponde. Da Revello, il Po accoglie importanti contributi da 151 affluenti, per finire nel Polesine, dove si divide in cinque rami del delta e successivamente in 14 bocche che portano il grande fiume a morire nell'Adriatico.
Piene e straripamenti, più o meno importanti, hanno annualmente segnato qualche zona. Il Polesine vide trasformata la sua geografia nel 1951 da eccezionali inondazioni che erano già segnalate in epoca romana, tanto che gli abitanti costruirono spettacolari opere per regolare il deflusso delle acque verso il mare. Questi mastodontici contenitori di controllo per la corrente del Po, furono distrutti dagli invasori barbari nel II secolo a.C. rendendo la regione malsana ed inabitabile.
La tragedia che nel 1951 si è abbattuta su questa terra, sulla sua gente, sulle sue cose, ripropone i termini di quel difficile e sofferto rapporto che da sempre il Polesine ha con la natura: ricordi di volti impauriti, angosciati, di distruzioni improvvise, di morte. Ricordi di una terra indebolita dalle grandi rotte del 14 novembre a Paviole, Malcantone, Bosco, di sfollati accampati in lunghe, desolate file sugli argini. Questo evento ha stretto attorno al Polesine tutta l'Italia, in una ritrovata ed immensa fraternità dopo il dramma della guerra e del primo dopoguerra. Fu molta la gente che si occupò di aiutare le persone coinvolte nell'alluvione. I disastri provocati da quest'ultima stimolarono un forte sentimento di solidarietà sia sul piano economico che su quello morale. Un messaggio di conforto e di totale partecipazione a simile sventura fu quello che Papa Pio XII rivolse via radio agli alluvionati del Polesine, il 18 novembre.
L'Italia, a pochi anni dalla fine della guerra, avviava la prima fase dell'industrializzazione. alluvione del Po Ma il Polesine era ancora una civiltà contadina, e per crudeltà della sorte, proprio su questa fetta di territorio abbandonato a se stesso, dove era più alto che altrove il tasso di indigenti e analfabeti, doveva abbattersi una catastrofe naturale. La natura maligna ha voluto mostrare all'Italia tutto il suo selvaggio furore, cogliendo impreparata una nazione che stava appena uscendo dalle conseguenze della furia distruttiva degli uomini. Forse, però, in nessun altro territorio come nel Polesine si è vista tanta forza d'animo, tanta solidarietà, tanto coraggio e voglia di ricostruire, di ricominciare da capo.
Già da giovedì 8 novembre, vi erano precipitazioni sparse e continue su quasi tutta l'Italia settentrionale. La paura che queste perturbazioni atmosferiche provocassero l'innalzamento del livello di guardia delle acque del Po fu fondata. Unitamente alle cause contingenti (precipitazioni, temperatura…) vanno considerate altre cause più remote, scientificamente prevedibili: queste avrebbero potuto essere ovviate da una programmazione organica di opere di difesa a favore dell'intero sistema idrogeologico relativo al Po e ai suoi affluenti dalla sorgente alla foce. alluvione del Po A causa del maltempo si verificarono numerosi allagamenti; le frane continuavano a provocare crolli. Domenica 11 novembre, si registrarono le prime vittime del maltempo nel Vercellese; tutte le speranze vertevano su una maggiore ricettività del mare, che, in presenza di una forte mareggiata, non riceveva le acque del grande fiume, il quale cresceva di 3 cm l'ora. Da monte a valle, la massa d'acqua continuava ad aumentare. In seguito si incominciarono a verificare allagamenti e straripamenti un po' ovunque. Giovedì 14 iniziò il vero e proprio disastro. Le condizioni del Po continuavano ad aggravarsi nel Polesine.
Erano circa un centinaio le persone ammassate nel camion che doveva costituire la salvezza, e invece, per un tragico incidente meccanico, si trasformò in un veicolo di morte. Alcuni riuscirono a fuggire, ma 84 persone, in gran parte donne e bambini, sopraffatte dalle onde, morirono annegate nelle acque limacciose e gelide della rotta. Il camion si fermò sulla strada ormai cancellata dall'acqua che trascinava tutto con se e cresceva, alta fino a bloccare il circuito elettrico, nella nebbia fitta ed impenetrabile. Era diretto a Rovigo, dove gente disperata avrebbe trovato la salvezza. Questo stesso giorno vennero aumentate le opere di soccorso, che però furono presto rallentate da una nebbia fittissima. Era comunque intensa e continuata l'opera dei vigili del fuoco, dei carabinieri, dei barcaioli per il trasporto di evacuati.
L'acqua intanto proseguiva verso Adria, secondo centro del Polesine, e raggiungeva Rovigo. Il sabato successivo, Adria era completamente sommersa ed isolata, e 30.000 persone si ritrovavano circondati dalle acque. La domenica, l'acqua investì Cavarzere, ed il Po iniziava a decrescere. Fu dato inizio allo sfollamento degli abitanti di Adria, ma alcune famiglie preferirono non abbandonare il proprio stabile, ed il sindaco provvide a mantenere collegamenti con loro, per il rifornimento di viveri ed assistenza. 14 famiglie furono evacuate e sistemate nelle scuole e nell'ex casa di ricovero. Molti abitanti di questo paese si trasferirono lungo la strada, portando con loro bestiame ed altro. Affluivano a Rovigo centinaia e centinaia di alluvionati spaventati, in fuga, con qualche striminzito fagotto, o con niente, o anche meno di niente. alluvione del Po Qualcuno voleva restare e partire nello stesso tempo. Guardava la sua terra, la sua casa e non sapeva decidersi a staccarsene. Presto però, venne dato l'ordine di sgombero anche per Rovigo, e pertanto divenne indispensabile organizzare il trasferimento degli alluvionati in altri luoghi di accoglienza. Venne interrotto il traffico, e molte persone, bloccate, non poterono raggiungere la propria residenza. Dopo tante angosce ed attese, la sera del 18 novembre, una fiaccola di speranza per risolvere l'ormai tragica situazione di Adria provenne dalle autorità del governo e della provincia, delle forze armate che mai un momento avevano trascurato ogni sforzo per riuscire nella difficile impresa. Anche il presidente in carica in quel periodo, De Gasperi, partì per portare aiuto a questo popolo che era completamente sommerso dalle acque, le quali provocavano molti problemi alle comunicazioni. Con l'intervento massiccio della radio furono resi possibili l'invio tempestivo di aiuti, la ricerca delle persone credute disperse, il ricongiungimento di interi gruppi familiari.
La notte era stata di terrore; una parte della città era rimasta completamente senza luce a causa dell'allagamento di una cabina elettrica. Nel buio si alzavano da ogni parte grida di angoscia ed implorazioni di soccorso. Non vi era alcun mezzo per raggiungere i disgraziati in pericolo. Alcune squadre di animosi, muniti soltanto di corde per costituire cordate di sicurezza, si gettarono in aiuto di quanti era possibile loro raggiungere nelle case che non offrivano resistenza od erano più alte. Mercoledì 21 sul Polesine gravò una nuova ondata di piena che il Po convogliò a monte per la molta acqua piovuta.
Finalmente, giovedì 22, l'ondata di piena del Po era in via di attenuazione. Il prosciugamento fu ultimato molti mesi più tardi, il 23 maggio 1952.
Dei 350 mila abitanti, suddivisi in 51 comuni e riuniti attorno ai grossi centri di Rovigo ed Adria, centomila furono costretti ad emigrare. Molti trovarono lavoro nel triangolo industriale, molti altri si trasferirono all'estero.
alluvione del Po Le inondazioni producono danni alle abitazioni, industrie e terreni agricoli, minacciando la vita degli uomini e degli animali. La forte corrente dei torrenti in piena trasporta grandi detriti, causando danni ancora più ingenti di quelli prodotti dalle acque. La violenza di queste può avere effetti devastanti. Il Po, al passaggio del suo terrificante getto d'acqua, travolse, distrusse ed allagò tutto quanto aveva trovato sulla sua strada. Tutte le strutture investite dalla piena vennero danneggiate e le centrali idroelettriche bloccate.
L'intera nazione ebbe a risentire dei danni subiti dall'agricoltura, architrave dell'economia polesana, colpita a fondo nelle strutture; i campi riemersi e coperti da uno strato di terreno da riporto, presentarono difficili arature e la necessità di una completa ribonifica. Numerosi risultarono i crolli dei fabbricati agricoli, determinati dalla precarietà delle fondamenta. I danni complessivi relativi all'alluvione del 1951 ammontarono a circa 400 miliardi.
Dove c'erano, sotto un mare di acqua e di melma, morte e distruzione, ora pulsa la vita, sono concrete le energie di una popolazione in crescita, lo sviluppo tumultuoso di una parte dell'economia del Nordest che prima di quel 14 novembre era pressoché irrilevante.
Dove c'era povertà e un mare di fango, ora c'è un sistema economico ed imprenditoriale di prim'ordine; c'è efficienza nei servizi, ci sono le infrastrutture, c'è il dinamismo e l'impegno di una popolazione che non ha più cicatrici, ma solo praticità, tanta fiducia e la fondata speranza, lavorando, di allontanare per sempre l'incubo dell'alluvione o di altre sciagure.



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Percorso interdisciplinare di Francesca Sponza anno scolastico 2004-2005 liceo scientifico "G.Oberdan" Trieste