Titus Lucretius Carus

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Vita e contesto storico

Titus Lucretius Carus visse in un periodo segnato dalle conseguenze della seconda Guerra Punica, come la crisi della piccola proprietà terriera, la quale non poteva più coltivare il proprio fondo; la conseguente nascita del grande latifondo; lo sviluppo di contadini-soldati che erano costretti a vendere le proprie terre per prender parte alle guerre…. Si cercò di risolvere questa serie di problemi con le Riforme dei Gracchi, che però non ebbero alcun successo, soprattutto a causa della trasformazione che la struttura romana aveva subito: Roma non era più una città-stato, ma stava diventando un grosso punto di riferimento di un impero vastissimo. Questo fatto portò ad alcune trasformazioni di carattere sociale: il piccolo proprietario si andava ad integrare nel sottoproletariato urbano; i cavalieri ottenevano un ruolo economico, ma continuavano a non avere alcun peso politico, a causa della legge che prevedeva che chi possedeva navi (come i cavalieri) non poteva diventare senatore. Inoltre vi era un grande afflusso di schiavi, a causa delle inadeguate strutture politiche. Della vita del poeta e filosofo latino Titus Lucretius Carus si hanno scarse ed incerte informazioni, in quanto egli non ha lasciato notizie di se e la sua opera è soggetta alla "damnatio memoriae", a causa del pensiero incompatibile con quello cristiano dell'epoca. Probabilmente Lucrezio nacque nel 98 a.C. a Pompei e morì suicida all'età di 44 anni, nel 55 a.C.. Le scarse notizie che si hanno provengono da San Girolamo, che afferma che il poeta, dopo essersi somministrato un filtro d'amore, divenne pazzo, e nei momenti di lucidità mentale scrisse il suo unico e grande poema. Queste notizie non sono del tutto attendibili dal momento che neanche Lattanzio,nel IV secolo, parlò della pazzia di Lucrezio, ma solo di quella di Democrito ed Epicuro. E' probabile, pertanto, che San Girolamo abbia attribuito a Lucrezio la pazzia, per analogia di quel che aveva scritto Lattanzio; oppure, egli potrebbe aver semplicemente commesso un errore di lettura ed aver scambiato Lucrezio per Lucullo.


Il "De rerum natura"

Lucrezio compose uno dei capolavori della letteratura latina: il "De rerum natura", il quale probabilmente venne poi rivisto e pubblicato da Cicerone. Quest'opera è composta da sei libri ed è dedicata a Gaio Memmio, ricco banchiere, uomo d'affari e politico. Probabilmente non è finita, in quanto ad un inizio positivo, come l'invocazione a Venere, avrebbe dovuto coincidere una conclusione simile, e non un'immagine negativa come la peste che colpì Atene. Il poema si può dividere in tre parti: il primo ed il secondo libro trattano la teoria degli atomi (argomenti fisici); il terzo ed il quarto l'anima e le modalità con cui avviene la conoscenza (argomenti antropologici); il quinto ed il sesto sviluppano la dottrina del mondo (argomenti cosmologici).
Il poeta-filosofo scelse la forma del poema epico didascalico per divulgare a Roma la dottrina epicurea, che egli stesso stimava e praticava. Il suo intento appare però duplice: egli ha voluto esporre una dottrina filosofica e, nello stesso tempo, fare opera di vera poesia.
A parere di Epicuro, ideatore della filosofia epicurea, il fine dell'uomo è la felicità, che si può ottenere solo tramite il raggiungimento del piacere, al quale si giunge con la soppressione del dolore e del desiderio e con l'atarassia dell'animo (imperturbabilità, assenza di turbamenti), resa possibile dall'eliminazione delle paure irrazionali e delle passioni perturbatrici. Secondo questo filosofo, per raggiungere la felicità bisogna liberarsi della paura, sfruttando il quadrifarmaco, che consente di liberarsi dallo sgomento di morte, malattia, dolore e divinità. Infatti, Epicuro dimostra che gli dei non sono da temere in quanto non si curano delle vicende umane, ma vivono nell'intermundia; la morte coincide con la fine delle sensazioni e pertanto non deve creare preoccupazione di alcun genere; il dolore, non deve spaventare, dal momento che se è poco, è sopportabile, mentre se è tanto, porta alla morte e quindi alla fine delle sensazioni.
Lucrezio ha come unico scopo quello di descrivere e spiegare ogni aspetto importante della vita dell'uomo e del mondo e di convincere il lettore della validità della dottrina epicurea. Il lettore-discepolo, viene continuamente esortato e minacciato affinché segua con rettitudine i precetti ed il percorso di felicità imposti dall'epicureismo. Il lettore di Lucrezio è chiamato a trasformarsi in eroe, a farsi pronto e forte come la poesia che egli legge.
Il poema si apre con l'invocazione a Venere. Questa divinità rappresenta il simbolo della forza creatrice e fecondatrice della natura. Più in là, il poeta si rivolge a Marte, invocato sotto un aspetto naturalistico, come simbolo dell'energia maschile creatrice della natura. In seguito, Lucrezio espone l'idea atomistica della materia costituita da atomi, indivisibili ed eterni, che combinati insieme danno origine ai vari aspetti della natura. Egli afferma che le cose sono costituite da aggregazioni di atomi che possono separarsi nei costituenti elementari per poi riaggregarsi per dar luogo a forme diverse della natura. La visione che Lucrezio ha della natura delle cose è riportabile al concetto di "materialismo meccanicistico" per cui ogni fenomeno naturale trova la sua spiegazione specifica e per cui le uniche leggi che regolano il moto degli atomi sono di tipo meccanico.
Nell'ultimo libro del poema vengono descritti e spiegati una serie di fenomeni naturali, come la pioggia, la grandine, i fulmini, il vento, i terremoti, le maree, i magneti, i vulcani…. La finalità diretta e chiara del discorso è quella di allontanare il lettore dall'idea dell'origine divino-religiosa di questi seppur maestosi eventi naturali. Riguardo al fulmine, che è l'esempio più argomentato, il tentativo di distogliere il lettore dalle credenze religiose per portarlo al ragionamento e al razionalismo scientifico diviene sempre più evidente, tanto che Lucrezio contesta le tesi antiche, piene di magia e fenomeni ingiustificati.
Di seguito ripropongo un estratto del libro VI:


Scorgevano inoltre i fenomeni celesti e le varie stagioni
dell'anno rotare secondo un ordine costante,
né potevano conoscere per quali cause questo avvenisse.
Dunque avevano per sé via d'uscita l'assegnare ogni cosa
agli dèi e supporre che al cenno di quelli ogni cosa obbedisse.
E nel cielo collocarono le sedi e le regioni degli dèi,
perché nel cielo si vedono girare la notte e la luna,
la luna, il giorno e la notte, e le severe stelle della notte,
e le facce del cielo che vagano di notte, e le fiamme volanti,
le nubi, il sole, le piogge, la neve, i venti, i fulmini, la grandine,
e i rapidi fremiti e i grandi minacciosi fragori.



Linguaggio e stile

Lucrezio considera la poesia come il miele che, cosparso sull'orlo del bicchiere, aiuta un bambino a prendere l'amara medicina, che lo porta alla guarigione.
Il suo capolavoro è scritto in esametri, in uno stile che, come l'organizzazione complessiva della materia da trattare, doveva piegarsi al fine di persuadere il lettore. Esso è complessivamente severo, capace di durezze ed eleganze, pronto alla commozione e alla meraviglia, ma anche all'invettiva profetica; sempre grandioso, senza mai cadere nell'ampolloso e magniloquente.
Vi sono frequenti ripetizioni, e anche l'invito all'attenzione del lettore è ripetuto spesse volte.
E' rilevante il fatto che la lingua latina, all'epoca, mancava di alcuni vocaboli tecnici e non era quindi in grado di esprimere certi concetti della filosofia greca. Pertanto Lucrezio si trovò costretto ad inventare nuove perifrasi e nuovi vocaboli. Egli usa abbastanza frequentemente allitterazioni, assonanze, costrutti arcaici, enjambement…. Inoltre dimostra di possedere una vasta conoscenza della letteratura greca, come testimoniano le riprese di Omero, Platone, Eschilo, Turipide...



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Percorso interdisciplinare di Francesca Sponza anno scolastico 2004-2005 liceo scientifico "G.Oberdan" Trieste