Capitolo 
    secondo: dove 
    Berthon entra nel mito di Theo. 
     
    L'azzurro era il colore preferito da Berthon. Con quel colore il padre 
    drappeggiava le armature dei suoi cavalli durante i tornei... e "trotto e 
    galoppo", se ricordate lo scempio della sua pagella, era tra le poche 
    materie in cui si salvava. L'azzurro era un colore rassicurante, in quel 
    monastero isolato dal mondo, fatto di silenzio, di preghiere, di uomini 
    chini sul proprio lavoro, dove le ragazze non volevano divertirsi e, scusate 
    se è poco, dove si cominciava a sentire la mancanza di mamma e papà.  
    Fu così che Berthon rientrò nella seconda sezione, per vedere se Theo 
    avrebbe potuto aiutarlo. Era certo che quel grosso libro che prima aveva 
    notato addossato alla parete, faceva solo finta di dormire sotto quella 
    volta celeste... Ed era stata una felice intuizione, perché Theo, in carne 
    ed ossa, uscì dalle pagine del libro per fare amicizia. Sì, avete capito 
    bene, il personaggio del libro uscì dalle pagine di carta! Come accadde? 
    Mah!, non esistono spiegazioni certe, certo è ciò che si verificò a quel 
    punto. State ad ascoltare. 
    - Dunque, Berthon, vorresti prendere il mio posto? – lo affrontò Theo a 
    botta calda. Berthon si sentiva a disagio, era una ben strana biblioteca 
    quella, dove i protagonisti delle storie importunavano, senza ritegno, i 
    lettori. 
    - E' solo un gioco! – incalzò Theo - Un'occasione unica per vivere la mia 
    leggenda!  
    Ed ammiccava con gli occhi, per essere più convincente. 
    - Non saprei... Ho promesso ad Echus che sarei stato diligente, che avrei 
    rispettato le regole del monastero Mi starà cercando e sarà preoccupato! - 
    rispose il ragazzo tentando di fuggire. 
    - Echus, Echus! Gioca con me, sarà più divertente che star dietro a quel 
    vecchio babbeo! Prendi il mio posto e potrò finalmente uscire da quest'orrida 
    biblioteca per sgranchirmi le gambe. Non sarà per sempre; tu diventerai il 
    grande ed immortale Theo, ed io quel ragazzo scapestrato che sei tu! 
    - Ma perché? - insisteva Berthon, che continuava a non vederci chiaro. - Non 
    sei contento dove stai? 
    - Ti dico che voglio provare, sono stanco ed annoiato. - E sebbene fosse un 
    dio, il suo volto era davvero affranto. 
    - D'accordo, ti voglio accontentare, ma per quanto tempo sarò Theo e come 
    farò a ridiventare Berthon? 
    - Tempo, tempo! Che cos'è il tempo? Un batter d'ali, nessuno se ne accorgerà 
    e, per ritornare quello che sei, basterà pronunciare tre volte la parola 
    magica LOGOTEGIA! 
    Berthon, per quella strana legge dettata dalla curiosità e dal fascino 
    dell'avventura, cominciò un viaggio libero sulle tracce della storia, i 
    labirinti del sogno e della leggenda. 
    Era fantastico, i pensieri potevano seguire ogni gioco: c'era il sole e la 
    pioggia, la terra e il mare, la fantasia e la realtà. Tutto era possibile e 
    Berthon decise di esagerare: voleva volare! 
    Con l'aiuto di Eolo si cucì un vestito di vento per superare i monti e le 
    valli, i paesi e le città. Ippodòmia gli fece sellare il più veloce dei suoi 
    purosangue, Zeus gli spalancò le porte del cielo ed Apollo gli consentì di 
    avvicinarsi al sole senza pericolo. 
    - Hera Hippis! Hera Hippis! - Gridava Berthon esultante, ma non era più un 
    ragazzo discolo, indolente e capriccioso, con le gambe magre ed il naso 
    grosso. Era diventato un vero guerriero, un uomo forte, bello ed 
    invincibile... Ed anche generoso: quando fu vicino al sole, il suo animo 
    buono gli fece catturare un raggio luminoso da portare agli uomini della 
    terra, per trasmettere la gioia che aveva provato. 
    Ragazzi, sarà anche stato nell'Olimpo, ma lo stomaco di Berthon brontolava: 
    per fortuna Diana lo aiutò a cacciare una lepre, Vulcano gli allestì uno 
    spiedo e Bacco gli offrì del vino. 
    - No grazie, Ser Bacco! - si sorprese a dire Berthon , ricordandosi di una 
    noiosa lezione di galateo - sono troppo piccolo; Echus, sì, è un intenditore 
    e certo apprezzerà questo vino meglio di me. 
    In quel momento decise appunto che doveva far assaggiare la bevanda 
    all'abate e pronunciò dunque tre volte la parola magica che l'avrebbe 
    riportato in biblioteca. LOGOTEGIA! 
    Logotegia! Più forte ragazzi, aiutamolo, oppure Berthon sarà condannato a 
    rimanere un povero dio immortale e non potrà tuffarsi nella sua vita, per 
    assaporarla ed inventarla. LOGOTEGIA !!! 
    In un istante, come Theo aveva promesso, Berthon ritornò ad essere un 
    bambino, con in più un piccolo segreto: stringeva in una mano il raggio 
    luminoso che aveva rubato al sole, pensava infatti di portare un sorriso ed 
    un Po’ di conforto a tutte le persone tristi che soffrivano sulla terra.  |