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LORENZO IL MAGNIFICO
LA NENCIA DA BARBERINO
  LUIGI PULCI
LA BECA DA DICOMANO

 

Tratto da G. Contini (a cura di ), Letteratura italiana del Quattrocento, Firenze, Sansoni, 1970, pp. 422-425.

Ardo d’amore, e conviemme cantare,
per una dama che me strugge el cuore,
ch’ogni otta ch’i’ la sento ricordare,
el cor me brilla (a) e par ch’egli esca fuore.            4
Ella non truova de bellezze pare,
cogli occhi gitta fiaccole d’amore.
I’ sono stato in città e ’n castella,
e mai ne vidi ignuna tanto bella.                           8

I’ sono stato ad Empoli al mercato,
a Prato, a Monticegli, a San Casciano,
a Colle, a Poggibonzi e San Donato,
a Grieve e quinamonte a Decomano;                    12
Fegghine e Castelfranco ho ricercato,
San Piero e ’1 Borgo e Mangone e Gagliano:
più bel mercato ch’ ento ’1 mondo sia,
è Barberin, dov’è la Nencia mia.                          16

Non vidi mai fanciulla tanto onesta,
né tanto saviamente rilevata:
non vidi mai la più leggiadra testa,
né sì lucente, né sì ben quadrata;                      20
con quelle ciglia che pare una festa
quand’ella l’alza, ched ella me guata:
entro quel mezzo è ’1 naso tanto bello,
che par proprio bucato col succhiello.                 24

Le labbra rosse paion de corallo,
ed havvi drento duo filar’ de denti,
che son più bianchi che que’ del cavallo:
da ogni lato ve n’ha più de venti.                       28
Le gote bianche paion di cristallo
sanz’altro liscio né scorticamenti, (b)
rosse ento ’1 mezzo quant’è una rosa,
che non si vide mai sì bella cosa.                       32

Ell’ha quegli occhi tanto rubacuori,
ch’ella trafiggere’ con egli un muro:
chiunch’ella guata convien che ’nnamori;
ma ella ha ’1 cuore com’un ciottol duro.              36
E sempre ha drieto un migliaio d’amadori,
che da quegli occhi tutti presi fûro:
la se rivolge e guata questo e quello:
i’ per guatalla me struggo el cervello.                 40

La m’ha sì concio e ’n modo governato,
ch’i’ più non posso maneggiar marrone (c),
e hamme drento sì ravviluppato,
ch’i’ non ho forza de ’nghiottir boccone.             44
I’ son come un graticcio deventato,
e solamente per le passïone,
ch’i’ ho per lei nel cuore (eppur sopportole),
la m’ha legato con cento ritortole. (d)              48

Ella potrebbe andare al paragone
tra un migghiaio di belle cittadine,
ch’ell’apparisce ben tra le persone
co’ suoi begghi atti e dolce paroline;                 52
l’ha ghi occhi suoi più neri ch’un carbone
di sotto a quelle trecce biondelline,
e ricciute le vette de’ capegli,
che vi pare attaccati mill’anegli.                       56

Ell’è dirittamente ballerina,
ch’ella se lancia com’una capretta:
girasi come ruota de mulina,
e dassi della man nella scarpetta.                 60
Quand’ella compie (e) el ballo, ella se ’nchina,
po’ se rivolge e duo colpi iscambietta,
e fa le più leggiadre riverenze
che gruma cittadina da Firenze.                       64

La Nencia mia non ha gnun mancamento:
l’è bianca e rossa e de bella misura,
e ha un buco ento ’1 mezzo del mento,
che rabbellisce tutta sua figura.                   68
Ell’è ripiena d’ogni sentimento:
credo che ’n pruova la fêsse Natura
tanto leggiadra e tanto appariscente,
ch’ella diveglie il cuore a molta gente.              72

Ben se potrà chiamare avventurato
chi fie marito de sì bella moglie;
ben se potrà tener in buon dì nato
chi arà quel fioraliso sanza foglie;                   76
ben se potrà tener santo e bïato,
e fien guarite tutte le suo doglie,
aver quel viso e vederselo in braccio
morbido e bianco, che pare un sugnaccio. (f)   80

Se tu sapessi, Nencia, el grande amore
ch’i’ porto a’ tuo begli occhi tralucenti,
e la pena ch’i’ sento e ’1 gran dolore,
che par che mi si svèglin tutti i denti;             84
se tu ’1 pensasse, te creperre’ el cuore,
e lasceresti gli altri tuo serventi,
e ameresti solo el tuo Vallèra,
ché se’ colei che ’1 mie cuor disidèra.             88

Nenciozza, tu me fai pur consumare
e par che tu ne pigli gran piacere.
Se sanza duoi me potessi cavare, (g)
me sparere' (h) per darti a divedere               92
ch’i’ t’ho ‘nto ’l cuore e fare’tel toccare;
tel porre’ in mano e fare’tel vedere:
se tu ’l tagghiassi con una coltella,
e’ griderebbe: — Nencia, Nencia bella! —.       96

(...)


(a) Gira su se stesso.

(b) Senza cosmetici e artifici.

(c) Grossa zappa.

(d) Lacci, legacci.

(e) Conclude.

(f) Grasso del maiale.

(g) Intagliare.

(h) Spezzerei, spaccherei.

 
Tratto da Luigi Pulci e quattordici cantari, Roma,
Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, 2000, pp. 705-706.

I
Ognun la Nencia tutta notte canta
e della Beca non se ne ragiona,
e 'l suo Vallera ogni dì si millanta
che la suo Nencia è in favola e in canzona.
La Beca mai, che bella è tutta quanta,
guardate ben come 'n sulla persona
gli stanno ben le gambe e pare un fiore
da fare altrui sollucherare il cuore.

II
La Beca mia è solo un po' piccina
e zoppica ch'appena tè n'addresti;
nell'occhio ha in tutto una tal magliolina
che, s'tu non guati, tu non la vedresti;
piloso ha intorno a quella suo bocchina
che proprio al barbio l'assomiglieresti,
e com'un quattrin vecchio proprio è bianca:
solo un marito come me le manca.

III
Come le vespe all'uve primaticce
tutto dì vanno dintorno ronzando,
e come fanno gli asini alle micce,
e gaveggin' ti vengon codïando:
tu gli 'nfìnocchi come le salcicce
e coll'occhietto gli vai infinocchiando;
ma s'tu potessi di quell'altro atarti,
infimo al re verrebbe a gaveggiarti.

IV
Tu se' più bianca che non è il bucato,
più colorita che non è il colore,
più sollazzevol che non è il mercato,
più rigogliosa che lo 'mperadore,
più framettente che non è l'arato,
più zuccherosa che non è l'amore;
e quando tu motteggi fra la gente,
più ch' <a> un bu' acqua tu se' avvenente.

IV bis
[Tu se' più destra che lo scarafaggio
quando tu balli e fai quel maziculo,
più lieta se' che l'asino di maggio,
più canterina che non è il cuculo;
e se' di latte, Beca, più che el gaggio
e hai '1 viso più morbido che '1 culo,
più scherzaiuola se' che '1 becherello,
più dolce zuga che '1 mie ciucherello.]

V
Beca, sa' tu quand'io 'mpazzai d'amore?
Quando ti veddi quel color celestro,
che tu n'andavi alla Città del Fiore
e mona Ghilla avea sotto '1 canestro.
I' mi senti' così bucare il cuore
come s'tu '1 foracchiassi col balestro,
e dissi: "La ne va a que' cittadini,
vedra' che melarance e gaveggini!"

VI
Abbiate tutte quante passïone,
fanciulle, che la Beca è la più bella
e canta sopr'un cembol di ragione
e del color dell'aria ha la gonnella
e mena ben la danza in quel riddone:
non c'è più dolce grappola quant'ella,
ch'i' mi sollucro quand'ella scambietta
di procurar più sù che · lla scarpetta.
(...)