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MIGUEL DE CERVANTES
DON CHISCIOTTE DELLA MANCIA

Tratto da Baldi, Giusso, Razetti, Zaccaria (a cura di), Dal testo alla storia, dalla storia al testo, Torino, Paravia, 1994, vol. II, t. II, pp. 117-119.

Cap. XXI
Che tratta della grande avventura e della conquista dell'elmo di Mambrino, con altri avvenimenti accaduti al nostro invincibile cavaliere.

Proprio allora cominciò a piovigginare e Sancio avrebbe voluto che si riparassero nel mulino delle .gualchiere, ma a Don Chisciotte il luogo era venuto tanto a noia per quello scherzo di cattivo genere, che non volle assolutamente entrarvi. E così, voltando a destra, si trovarono in un altro sentiero simile a quello che avevano percorso il giorno prima. Di lì a poco Don.Chisciotte. scorse un uomo a cavallo, con in capo qualcosa che brillava come se fosse d'oro. Appena lo ebbe visto si volse a Sancio e gli disse:
- A me pare, Sancio, che non vi sia proverbio non veritiero, perché sono tutte sentenze tratte dall'esperienza stessa, madre di ogni scienza, e particolarmente quello che dice: "Dove si chiude una porta, se ne apre un'altra". Te lo dico perché, se questa notte la sorte ci ha chiuso la porta che cercavamo, traendoci in inganno con le gualchiere, ora ce ne spalanca un'altra per una migliore e più sicura avventura. E se non riuscirò ad entrarvi, mia sarà la colpa, e non potrò attribuirla alla scarsa conoscenza , delle gualchiere, né all'oscurità della notte. E dico questo perché, se non mi inganno, avanza verso di noi un uomo che porta sul capo l'elmo di Mambrino, per il quale ti ho fatto il giuramento che sai.
- Vossignoria faccia ben attenzione a quel che dice; e ancora di più a quello che fa: che non vorrei si trattasse di altre gualchiere, le quali finissero col gualchiarci e pestarci di santa ragione.
- Ti inghiottano i regni infernali! - imprecò Don Chisciotte. - Che c'entra l'elmo con le gualchiere!
- Io non so, - rispose Sancio, - ma in fede mia, se potessi parlare tanto come prima, vi porterei tali argomenti che vossignoria vedrebbe che si sta sbagliando.
- Come potrei sbagliarmi, diavolo di un pedante! - esclamò Don Chisciotte. - Dimmi, non vedi quel cavaliere che sta venendo verso di noi su di un cavallo grigio pomellato, portando sul capo un elmo d'oro?
- Ciò che riesco a vedere, - rispose Sancio, - è solo un uomo su di un asino bigio come il mio, e che ha in testa una cosa che luccica.
- Ebbene, quello è l'elmo di Mambrino, - disse Don Chiseiotte. - Fatti da parte e lasciami a tu per tu con lui, e vedrai come, senza proferir parola per risparmiare tempo, porterò a termine questa avventura, e resterà in mio possesso il cimiero che tanto ho desiderato.
- Stia pur certo che mi farò da parte, - replicò Sancio, - e che Dio ce la mandi buona e voglia che non siano gualchiere!
- Già vi dissi, fratello, di non nominare e neppure di accennare alla storia delle gualchiere, - lo ammonì Don Chisciotte, - che altrimenti giuro che ve la batto io l'anima.
Sancio tacque, per timore che il suo padrone mantenesse l'esplicita minaccia che gli aveva rivolto.
Si da il caso che l'elmo, il cavallo e il cavaliere che Don Chisciotte aveva visto, altro non fossero che questo: in quei pressi sorgevano due paesi vicini, di cui uno era tanto piccolo, che non aveva né farmacia, né barbiere, e così il barbiere del borgo più grande serviva anche gli abitanti di quello più piccolo. Ora accadde che un ammalato ebbe bisogno di un salasso e un'altra persona di farsi la barba; e per questo il barbiere se ne andava portando una bacinella d'ottone. Il caso volle che, mentre stava camminando, si mise a piovere e, per non macchiare il cappello, che forse era nuovo, si era messo in testa la bacinella, e questa, lucida com'era, si vedeva brillare da mezza lega di distanza. Se ne veniva cavalcando un asino bigio, come disse Sancio, ma a Don Chisciotte parve di scorgere un cavallo grigio pomellato, un cavaliere e un elmo d'oro: poiché tutte le cose che vedeva, con gran facilità le adattava alla sua follia cavalleresca ed ai suoi pensieri strampalati. E, non appena vide il disgraziato cavaliere abbastanza vicino, senza venire a spiegazioni con lui, spronando Ronzinante al gran galoppo, si lanciò, lancia in resta, con l'intenzione di passarlo da parte a parte. Ma quando stava per raggiungerlo, senza frenare l'impeto della sua corsa, gli gridò:
- Difenditi, fellone, o consegnami di tua spontanea volontà quanto a buon diritto mi è dovuto.
Il barbiere, che si vide venire addosso quel fantasma quando meno se lo aspettava, non poté far altro, per schivare il colpo di lancia, che buttarsi giù dall'asino; e non appena ebbe toccato terra, si alzò più leggero di un daino, e si mise a correre per quella pianura così forte che neppure il vento lo avrebbe raggiunto.
Lasciò la bacinella al suolo e Don Chisciotte, pienamente appagato, disse che il pagano era stato saggio e che aveva imitato il castoro, il quale, inseguito dai cacciatori, si lacera e taglia coi denti la coda, sapendo per istinto naturale che è quella la causa dell'inseguimento. Ordinò a Sancio di sollevare l'elmo, e questi, presolo in mano, disse:
- Per Dio, è un magnifico bacile, e deve valere una moneta da otto reali!
La consegnò al suo padrone, che se la pose sul capo; e girandola e rigirandola, cercava l'incastro della visiera, ma non trovandolo disse:
- Indubbiamente il pagano, sulla cui misura fu forgiata questa famosa celata (a) , doveva avere una testa grandissima; ma il peggio però è che ne manca una parte.
Quando Sancio sentì chiamare celata il bacile, non riuscì a trattenere il riso; ma, ricordando la collera del suo padrone, si fermò a metà della risata.
- Di che ridi, Sancio? - disse Don Chisciotte.
- Mi viene da ridere a pensare quanto doveva essere grossa la testa del pagano che possedeva quest'elmo, che è proprio uguale a un bacile da barbiere.
- Sai che penso, Sancio? Che quest'oggetto, per qualche strano accidente, sia finito in mano a qualcuno che non seppe né riconoscerne il valore, né valutarlo; e senza sapere quel che faceva, vedendolo d'oro purissimo, ne fuse una metà per trame un guadagno, e dell'altra fece quest'oggetto che, come tu dici, sembra un bacile da barbiere. Ma sia ciò che sia, io che lo conosco, non farò caso alla sua trasformazione e lo farò aggiustare nel primo paese in cui ci sia un fabbro, di modo che non lo superi ne eguagli quello che forgiò il dio dei fabbri per il dio della guerra. Nel frattempo lo porterò come posso, poiché è meglio poco che niente; se non altro sarà sufficiente a difendermi da qualche sassata.
- Andrà bene, - disse Sancio, - se non tireranno però le pietre con la fionda, come avvenne nella guerra dei due eserciti, quando a vossignoria cresimarono i denti e spaccarono l'orciolo" dove c'era quella benedetta bevanda che mi fece vomitare l'anima.
- Non mi affligge molto l'averlo perduto, - disse Don Chisciotte, - perché come tu sai, Sancio, ne conservo impressa nella memoria la ricetta.
- Anch'io la ricordo, - rispose Sancio, - ma se anche la facessi, non la riassaggerei, nemmeno se fosse arrivata la mia ultima ora. Tanto più che non penso di mettermi nell'occasione di averne bisogno, perché cercherò di evitare con la cura più scrupolosa di restare ferito o di ferire qualcuno. Quanto al fatto di essere sballottato su una coperta, non dico nulla. Infatti non si possono prevedere simili disgrazie, e se ci capitano addosso, non c'è altro da fare che stringersi nelle spalle, trattenere il fiato, chiudere gli occhi e lasciarsi andare dove il destino e la coperta ci portano.
- Sei un cattivo cristiano, - commentò Don Chisciotte, nel sentir ciò, - perché ricordi sempre l'offesa che una volta ti è stata recata, ma sappi che è proprio dei cuori nobili e generosi non dar importanza alle piccole cose. Quale piede ti rimase azzoppato, che costola spezzata, che testa rotta, perché tu non possa dimenticare quello scherzo? In fondo, tutto considerato, si trattò solo di una burla; infatti, se non l'avessi interpretata in questo modo, sarei già tornato indietro e avrei provocato, vendicandoti, più danni di quelli che fecero i Greci per il ratto di Elena. Costei, poi, se vivesse ai nostri giorni, o se la mia Dulcinea fosse vissuta ai suoi tempi, sicuramente non potrebbe vantare tutta quella fama di gran bellezza che sino ad oggi le è stata attribuita.
A questo punto emise un sospiro che arrivò al cielo, e Sancio disse:
- Consideriamola pure una burla, poiché non ci si può vendicare sul serio: ma io so se facevano sul serio o per burla, e so anche che non mi uscirà di mente, e che mai me la toglieranno dalle spalle. Ma, a parte questo, mi dica vossignoria: che ne facciamo del cavallo grigio pomellato, che sembra un asino bigio, abbandonato qui da quel Martino che vossignoria ha disarcionato, e che, da come si mise a correre e se la svignò, credo non abbia nessuna intenzione di tornare a riprenderlo? Perché, accidenti a me, è un bellissimo bigio!
- Non sono solito spogliare i vinti, - disse Don Chisciotte, - ne è uso della cavalleria toglier loro i cavalli e lasciarli appiedati, a meno che nella lotta il vincitore non abbia perso il suo; perché, in tal caso, gli è concesso prendere quello del vinto, come trofeo guadagnato in lecito duello. Lascia quindi Sancio, questo cavallo, o asino, o quello che è, poiché il suo padrone, quando ci vedrà lontani, tornerà a riprenderlo.
- Dio sa se vorrei portarmelo via, o almeno scambiarlo con il mio, che non mi pare così bello, -replicò Sancio. - Sono veramente severe le leggi della cavalleria, se non permettono di scambiare un asino con un altro; e vorrei sapere se almeno si potessero scambiare i finimenti.
- Di ciò non sono pienamente sicuro, - rispose Don Chisciotte, - ma in caso di dubbio, e fino a che non mi sarò meglio informato, ti permetto di scambiarli, se ne hai una estrema necessità.
- Eccome! Tale, - rispose Sancio, - che se fosse per la mia stessa persona, non ne potrei avere di più. E, approfittando dell'autorizzazione, fece la "mutatio caparum" e addobbò il suo mulo in tal modo, da farlo cinque volte più bello.
[…]


(a) Elmo privo di cimiero.