Tratto da Baldi, Giusso, Razetti, Zaccaria (a cura
di), Dal testo alla storia, dalla storia al testo, Torino, Paravia, 1994,
vol. II, t. II, pp. 117-119.
Cap. XXI
Che tratta della grande avventura e della conquista dell'elmo di
Mambrino, con altri avvenimenti accaduti al nostro invincibile cavaliere.
Proprio allora cominciò a
piovigginare e Sancio avrebbe voluto che si riparassero nel mulino delle
.gualchiere, ma a Don Chisciotte il luogo era venuto tanto a noia per quello
scherzo di cattivo genere, che non volle assolutamente entrarvi. E così,
voltando a destra, si trovarono in un altro sentiero simile a quello che
avevano percorso il giorno prima. Di lì a poco Don.Chisciotte. scorse un
uomo a cavallo, con in capo qualcosa che brillava come se fosse d'oro.
Appena lo ebbe visto si volse a Sancio e gli disse:
- A me pare, Sancio, che non vi sia proverbio non veritiero, perché sono
tutte sentenze tratte dall'esperienza stessa, madre di ogni scienza, e
particolarmente quello che dice: "Dove si chiude una porta, se ne apre
un'altra". Te lo dico perché, se questa notte la sorte ci ha chiuso la porta
che cercavamo, traendoci in inganno con le gualchiere, ora ce ne spalanca
un'altra per una migliore e più sicura avventura. E se non riuscirò ad
entrarvi, mia sarà la colpa, e non potrò attribuirla alla scarsa conoscenza
, delle gualchiere, né all'oscurità della notte. E dico questo perché, se
non mi inganno, avanza verso di noi un uomo che porta sul capo l'elmo di
Mambrino, per il quale ti ho fatto il giuramento che sai.
- Vossignoria faccia ben attenzione a quel che dice; e ancora di più a
quello che fa: che non vorrei si trattasse di altre gualchiere, le quali
finissero col gualchiarci e pestarci di santa ragione.
- Ti inghiottano i regni infernali! - imprecò Don Chisciotte. - Che c'entra
l'elmo con le gualchiere!
- Io non so, - rispose Sancio, - ma in fede mia, se potessi parlare tanto
come prima, vi porterei tali argomenti che vossignoria vedrebbe che si sta
sbagliando.
- Come potrei sbagliarmi, diavolo di un pedante! - esclamò Don Chisciotte. -
Dimmi, non vedi quel cavaliere che sta venendo verso di noi su di un cavallo
grigio pomellato, portando sul capo un elmo d'oro?
- Ciò che riesco a vedere, - rispose Sancio, - è solo un uomo su di un asino
bigio come il mio, e che ha in testa una cosa che luccica.
- Ebbene, quello è l'elmo di Mambrino, - disse Don Chiseiotte. - Fatti da
parte e lasciami a tu per tu con lui, e vedrai come, senza proferir parola
per risparmiare tempo, porterò a termine questa avventura, e resterà in mio
possesso il cimiero che tanto ho desiderato.
- Stia pur certo che mi farò da parte, - replicò Sancio, - e che Dio ce la
mandi buona e voglia che non siano gualchiere!
- Già vi dissi, fratello, di non nominare e neppure di accennare alla storia
delle gualchiere, - lo ammonì Don Chisciotte, - che altrimenti giuro che ve
la batto io l'anima.
Sancio tacque, per timore che il suo padrone mantenesse l'esplicita minaccia
che gli aveva rivolto.
Si da il caso che l'elmo, il cavallo e il cavaliere che Don Chisciotte aveva
visto, altro non fossero che questo: in quei pressi sorgevano due paesi
vicini, di cui uno era tanto piccolo, che non aveva né farmacia, né
barbiere, e così il barbiere del borgo più grande serviva anche gli abitanti
di quello più piccolo. Ora accadde che un ammalato ebbe bisogno di un
salasso e un'altra persona di farsi la barba; e per questo il barbiere se ne
andava portando una bacinella d'ottone. Il caso volle che, mentre stava
camminando, si mise a piovere e, per non macchiare il cappello, che forse
era nuovo, si era messo in testa la bacinella, e questa, lucida com'era, si
vedeva brillare da mezza lega di distanza. Se ne veniva cavalcando un asino
bigio, come disse Sancio, ma a Don Chisciotte parve di scorgere un cavallo
grigio pomellato, un cavaliere e un elmo d'oro: poiché tutte le cose che
vedeva, con gran facilità le adattava alla sua follia cavalleresca ed ai
suoi pensieri strampalati. E, non appena vide il disgraziato cavaliere
abbastanza vicino, senza venire a spiegazioni con lui, spronando Ronzinante
al gran galoppo, si lanciò, lancia in resta, con l'intenzione di passarlo da
parte a parte. Ma quando stava per raggiungerlo, senza frenare l'impeto
della sua corsa, gli gridò:
- Difenditi, fellone, o consegnami di tua spontanea volontà quanto a buon
diritto mi è dovuto.
Il barbiere, che si vide venire addosso quel fantasma quando meno se lo
aspettava, non poté far altro, per schivare il colpo di lancia, che buttarsi
giù dall'asino; e non appena ebbe toccato terra, si alzò più leggero di un
daino, e si mise a correre per quella pianura così forte che neppure il
vento lo avrebbe raggiunto.
Lasciò la bacinella al suolo e Don Chisciotte, pienamente appagato, disse
che il pagano era stato saggio e che aveva imitato il castoro, il quale,
inseguito dai cacciatori, si lacera e taglia coi denti la coda, sapendo per
istinto naturale che è quella la causa dell'inseguimento. Ordinò a Sancio di
sollevare l'elmo, e questi, presolo in mano, disse:
- Per Dio, è un magnifico bacile, e deve valere una moneta da otto reali!
La consegnò al suo padrone, che se la pose sul capo; e girandola e
rigirandola, cercava l'incastro della visiera, ma non trovandolo disse:
- Indubbiamente il pagano, sulla cui misura fu forgiata questa famosa celata
(a) , doveva avere
una testa grandissima; ma il peggio però è che ne manca una parte.
Quando Sancio sentì chiamare celata il bacile, non riuscì a trattenere il
riso; ma, ricordando la collera del suo padrone, si fermò a metà della
risata.
- Di che ridi, Sancio? - disse Don Chisciotte.
- Mi viene da ridere a pensare quanto doveva essere grossa la testa del
pagano che possedeva quest'elmo, che è proprio uguale a un bacile da
barbiere.
- Sai che penso, Sancio? Che quest'oggetto, per qualche strano accidente,
sia finito in mano a qualcuno che non seppe né riconoscerne il valore, né
valutarlo; e senza sapere quel che faceva, vedendolo d'oro purissimo, ne
fuse una metà per trame un guadagno, e dell'altra fece quest'oggetto che,
come tu dici, sembra un bacile da barbiere. Ma sia ciò che sia, io che lo
conosco, non farò caso alla sua trasformazione e lo farò aggiustare nel
primo paese in cui ci sia un fabbro, di modo che non lo superi ne eguagli
quello che forgiò il dio dei fabbri per il dio della guerra. Nel frattempo
lo porterò come posso, poiché è meglio poco che niente; se non altro sarà
sufficiente a difendermi da qualche sassata.
- Andrà bene, - disse Sancio, - se non tireranno però le pietre con la
fionda, come avvenne nella guerra dei due eserciti, quando a vossignoria
cresimarono i denti e spaccarono l'orciolo" dove c'era quella benedetta
bevanda che mi fece vomitare l'anima.
- Non mi affligge molto l'averlo perduto, - disse Don Chisciotte, - perché
come tu sai, Sancio, ne conservo impressa nella memoria la ricetta.
- Anch'io la ricordo, - rispose Sancio, - ma se anche la facessi, non la
riassaggerei, nemmeno se fosse arrivata la mia ultima ora. Tanto più che non
penso di mettermi nell'occasione di averne bisogno, perché cercherò di
evitare con la cura più scrupolosa di restare ferito o di ferire qualcuno.
Quanto al fatto di essere sballottato su una coperta, non dico nulla.
Infatti non si possono prevedere simili disgrazie, e se ci capitano addosso,
non c'è altro da fare che stringersi nelle spalle, trattenere il fiato,
chiudere gli occhi e lasciarsi andare dove il destino e la coperta ci
portano.
- Sei un cattivo cristiano, - commentò Don Chisciotte, nel sentir ciò, -
perché ricordi sempre l'offesa che una volta ti è stata recata, ma sappi che
è proprio dei cuori nobili e generosi non dar importanza alle piccole cose.
Quale piede ti rimase azzoppato, che costola spezzata, che testa rotta,
perché tu non possa dimenticare quello scherzo? In fondo, tutto considerato,
si trattò solo di una burla; infatti, se non l'avessi interpretata in questo
modo, sarei già tornato indietro e avrei provocato, vendicandoti, più danni
di quelli che fecero i Greci per il ratto di Elena. Costei, poi, se vivesse
ai nostri giorni, o se la mia Dulcinea fosse vissuta ai suoi tempi,
sicuramente non potrebbe vantare tutta quella fama di gran bellezza che sino
ad oggi le è stata attribuita.
A questo punto emise un sospiro che arrivò al cielo, e Sancio disse:
- Consideriamola pure una burla, poiché non ci si può vendicare sul serio:
ma io so se facevano sul serio o per burla, e so anche che non mi uscirà di
mente, e che mai me la toglieranno dalle spalle. Ma, a parte questo, mi dica
vossignoria: che ne facciamo del cavallo grigio pomellato, che sembra un
asino bigio, abbandonato qui da quel Martino che vossignoria ha
disarcionato, e che, da come si mise a correre e se la svignò, credo non
abbia nessuna intenzione di tornare a riprenderlo? Perché, accidenti a me, è
un bellissimo bigio!
- Non sono solito spogliare i vinti, - disse Don Chisciotte, - ne è uso
della cavalleria toglier loro i cavalli e lasciarli appiedati, a meno che
nella lotta il vincitore non abbia perso il suo; perché, in tal caso, gli è
concesso prendere quello del vinto, come trofeo guadagnato in lecito duello.
Lascia quindi Sancio, questo cavallo, o asino, o quello che è, poiché il suo
padrone, quando ci vedrà lontani, tornerà a riprenderlo.
- Dio sa se vorrei portarmelo via, o almeno scambiarlo con il mio, che non
mi pare così bello, -replicò Sancio. - Sono veramente severe le leggi della
cavalleria, se non permettono di scambiare un asino con un altro; e vorrei
sapere se almeno si potessero scambiare i finimenti.
- Di ciò non sono pienamente sicuro, - rispose Don Chisciotte, - ma in caso
di dubbio, e fino a che non mi sarò meglio informato, ti permetto di
scambiarli, se ne hai una estrema necessità.
- Eccome! Tale, - rispose Sancio, - che se fosse per la mia stessa persona,
non ne potrei avere di più. E, approfittando dell'autorizzazione, fece la "mutatio
caparum" e addobbò il suo mulo in tal modo, da farlo cinque volte più bello.
[…]
(a)
Elmo privo di cimiero. |