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IL CINEMA NEOREALISTA ITALIANO
GUIDA DIDATTICA

 

Il cinema del fascismo

Nel corso dei precedenti anni Trenta, il regime fascista aveva investito notevoli risorse nel cinema, inteso come strumento di propaganda; aveva promosso la realizzazione di teatri di posa e stabilimenti di produzione a Cinecittà (Roma) ed a Tirrenia (Pisa). I film italiani erano di genere avventuroso, sentimentale, oppure riprendevano i motivi comici della commedia italiana e quelli musicali della rivista e dell’avanspettacolo.
Il fascismo voleva infondere un senso di serenità attraverso un cinema semplice, privo di spunti polemici, dove raramente i simboli del regime erano presenti. Questi apparivano, invece, nei documentari e nei cinegiornali (prime forme di comunicazione per immagini) proiettati in sala prima dei film veri e propri.
Non esiste un vero e proprio cinema fascista, fortemente ideologico, come invece era presente nella Germania nazista e nell’Unione Sovietica, ma dai film di quell’epoca non doveva apparire alcuna forma di critica politica alla società del tempo; casomai dovevano essere esaltate le conquiste del regime: l’impero coloniale, il senso di solidarietà nazionale, l’industrializzazione, la difesa delle tradizioni popolari.
Il modello del cinema italiano degli anni Trenta è più vicino a quanto prodotto, nello stesso periodo, negli Stati Uniti: anche qui i gravi problemi economici avevano orientato i produttori di Hollywood a proporre film dalle trame leggere e rassicuranti, creando il mito della nazione “che fa da sé”.

Nuove tensioni morali

Negli anni della guerra, il cinema italiano propose storie ambientate nel conflitto, spesso interpretate da attori non professionisti e da persone comuni, che potevano bene rappresentare i volti di tutta la popolazione coinvolta.
In quel periodo, il cinema italiano visse una fase di profondo ripensamento critico della sua funzione. Alcuni giovani registi e sceneggiatori, che collaboravano alla rivista “Cinema”, misero in atto un processo di profonda revisione del concetto di prodotto cinematografico. Appariva chiara la fine del regime fascista e delle illusioni che aveva generato. Il Neorelismo matura nel corso di un processo teorico che si sviluppa tra il 1940 e il 1943 e che realizza sotto la spinta dei drammatici avvenimenti che sconvolgono l’Italia tra il 1943 e il 1945.
Per Neorealismo non si deve intendere ad una scuola oppure ad un movimento culturale, ma ad un fenomeno di vasto respiro che abbraccia tanto la letteratura quanto le arti figurative. E’ una ripresa del Realismo, qui inteso come rappresentazione del vissuto quotidiano, delle condizioni d’esistenza della maggioranza della popolazione, d’attenzione alla concretezza degli eventi.

Antecedenti

Qualche critico cinematografico ha fatto risalire l’esperienza del Neorealismo agli albori del cinema italiano; in verità d’oggettività nell’opera cinematografica s’inizia a parlare nel corso degli anni Trenta, soprattutto tra quei giovani registi ed autori fortemente interessati alle esperienze del cinema russo e dalla letteratura sovietica, come dalle correnti espressioniste tedesche. Registi come Alessandro Blasetti (Sole – 1929; 1860 –1934; Vecchia guardia – 1934), Mario Camerini (Gli uomini, che mascalzoni – 1932; Il cappello a tre punte – 1934), Raffaello Matarazzo (Treno popolare – 1933) girano i loro film fuori degli studi di posa, impiegano attori non professionisti. Nel 1933 viene girato da Walter Ruttmann il film Acciaio, ambientato negli stabilimenti di Terni, mescolando attori a semplici operai: lo stile realistico della pellicola rispondeva all’esigenza del fascismo di dimostrare che il regime aveva “forgiato” un uomo nuovo.
Nel frattempo un gruppo di giovani e di affermati critici, gravitanti nella rivista “Cinema” ed allievi presso il Centro sperimentale cinematografico, si fanno portavoce di un ricambio generazionale all’interno dell’industria del cinema. Il dibattito aperto da Giuseppe De Santis, Mario Alicata, Carlo Lizzani, Gianni Puccini, Luchino Visconti, Umberto Barbaro e Cesare Zavattini, influenza il lavoro di alcuni registi che stanno girando film in piena guerra e che si sentono dibattuti da due sentimenti opposti: offrire un diversivo alle preoccupazioni quotidiane e far riflettere sulla società italiana che stava cambiando.
Il messaggio è raccolto da Vittorio De Sica con Teresa Venerdì (1941) e I bambini ci guardano (1943) da Alessandro Blasetti Quattro passi tra le nuvole (1942), da Roberto Rossellini Nave bianca (1941), Un pilota ritorna (1942), L’uomo della croce (1943), da Luchino Visconti Ossessione (1942) e da Francesco De Robertis Uomini sul fondo (1941), Alfa Tau (1942). Sono film che spaziano dalla commedia leggera al surreale-fantastico, fino alla guerra vista dalla parte del sacrificio degli italiani richiamati alle armi. Proprio il film Ossessione, è accolto dalla critica italiana con pareri discordanti: quella allineata al regime, si scandalizza e si scaglia contro l’opera, invece quella della rivista “Cinema” accoglie il lavoro di Visconti con particolare attenzione. Umberto Barbaro intitola la sua recensione al film proprio “Neorealismo”.

I casi “Ossessione” e “Roma città aperta”

Ossessione (1942)
Luchino Visconti, dopo aver lavorato in Francia con Jean Renoir, introduce nel cinema italiano forti elementi espressivi. Il film s’ispira al romanzo di James Cain Il postino suona sempre due volte e narra le vicende di un vagabondo, Gino, che si ferma in uno spaccio lungo il Po, diventando l’amante di Giovanna, moglie dell’ignaro padrone. I due decidono di ucciderlo per intascare l’assicurazione. Il denaro avvelena i rapporti tra i due amanti che finiscono per insospettire la polizia.
Nella pellicola è presente l’influenza del realismo francese. L’audacia dell’argomento, la carnalità della relazione tra i due amanti e la descrizione fredda e pessimista di un mondo squallido e senza speranza, provocarono l’intervento della censura fascista. Visconti adottò una tecnica di ripresa molto particolare, con profondità di campo e complessi movimenti della macchina da presa. Roma città aperta (1945)
Girato nell’estate del 1945 è il primo film italiano del dopoguerra. Privo di finanziamenti, Roberto Rossellini dovette cercare pellicola anche nei negozi di fotografia. Fu proiettato a Roma il 24 settembre 1945, nel corso di un festival del cinema, del teatro e della musica. La vicenda è ispirata alla figura di don Morosini, fucilato dai nazisti, ma intreccia le storie di gente comune, alle prese con l’occupazione tedesca: una popolana; un tipografo che aiuta la Resistenza; un ingegnere comunista tradito dall’ex amante; un parroco che aiuta i partigiani. Giudicato in Italia come un “melodramma popolare” fu accolto con grande successo all’estero, vincendo il festival di Cannes nel 1946. Assolutamente antiretorico, il film colpisce per la semplicità della narrazione: inteso come un’opera destinata al solo pubblico di Roma, che doveva ben riflettere sulla sua storia recente, offre un messaggio universale.

Gli autori ed i temi del neorealismo

Gli autori del Neorealismo diedero luogo a film molto diversi. Roberto Rossellini preferì la lettura drammatica della società attraversata dalla guerra; Vittorio De Sica mise in luce la solitudine e la povertà; Cesare Zavattini, come autore, diede libero sfogo alla fantasia; Luchino Visconti esaltò le grandi rappresentazioni, mentre Luigi Zampa si concentrò sui difetti e sulle disgrazie della gente comune. Infine Pietro Germi, Alberto Lattuada e Giuseppe De Santis ripresero, in forma cinematografica, la tradizione del romanzo italiano.
Questa spinta rinnovatrice si esaurì nella sola esperienza artistica, in quanto non fu capita dalla maggioranza degli spettatori, che trascurarono questi film, preferendo quelli di genere leggero e, soprattutto, la produzione statunitense che ritornava in Italia, dopo la guerra. Film come Paisà, Sciuscià, Ladri di biciclette, Germania anno zero, Terra trema, Umberto D., passarono nell’indifferenza per almeno due motivi: il pubblico nei cinema cercava divertimento e rassicurazione e non voleva vedere le ristrettezze della vita quotidiana; il governo italiano non aiutò e favorì questo tipo di pellicole, temendo che l’immagine dell’Italia risultasse troppo negativa. Infatti, alcuni film furono prodotti da soggetti estranei all’ambiente cinematografico, come l’Associazione Nazionale Partigiani che sostenne le pellicole Giorni di gloria, Il sole sorge ancora, Caccia tragica; il Centro Cattolico Cinematografico produsse i film Un giorno nella vita e Guerra alla guerra, mentre Luigi Zampa trovò in Sicilia il finanziamento privato per girare Anni difficili.

Le reazioni al Neorealismo

Argomenti, come la povertà, l’emarginazione, la delinquenza, il banditismo, il fallimento ideale della Resistenza, emigrazione clandestina furono sgraditi ai governi italiani, soprattutto dopo il 1947, quando, usciti i comunisti dalla maggioranza, in Italia si respirava un clima d’acceso scontro politico. Il cinema neorealista non piaceva alla borghesia benpensante, come al mondo prudente dei conservatori, ma non trovava nemmeno accoglienza nella sinistra per l’eccesso d’indiscrezione verso i difetti della nazione.
Tuttavia alcuni intellettuali, rappresentanti il pensiero liberale e il cattolicesimo sociale, accolsero positivamente l’esperienza, vista come quanto di più originale e vivo aveva prodotto il cinema italiano. Il dibattito si fece acceso, soprattutto quando fu fatta intervenire la censura per sforbiciare quei film ritenuti lesivi il buon nome dell’Italia, oppure quelle pellicole straniere che risultavano modelli degenerati del comportamento sociale. Un’alleanza di conservatori, di funzionari dell’ex burocrazia fascista, di cattolici moderati, colpì fino agli anni cinquanta, penalizzando opere importanti di Elia Kazan, Alfred Hitchcock, John Ford.

Dal Neorealismo al cinema di genere

Il Neorealismo fabbricò nuovi volti per il cinema italiano, ma non generò altrettanto interesse per questo filone. Il Neorealismo risultò più noto all’estero che in Italia, dove il pubblico premiò i film più rispondenti ad una certa tradizione ed in linea con la continuità del cinema d’evasione. Negli anni cinquanta si assiste al boom del genere comico (Totò, Macario, Rascel), del dramma sentimentale (Nazzari), delle opere liriche, delle ricostruzioni storiche, del film musicale. In quegli anni maturano alcuni registi (Zampa, Lattuada, De Santis, Germi, Comencini, Steno, Monicelli) che, pur piegandosi alle esigenze di botteghino, non dimenticano l’esperienza maturata nel Neorealismo, tutto a vantaggio di una certa nitidezza espositiva e di certi temi sociali aggiornati.

SCHEDE DEI FILM

Roma città aperta (1945)
Regia: Roberto Rossellini
Scritto: Sergio Amidei, Alberto Consiglio; sceneggiatura: Roberto Rossellini, Federico Fellini; Sergio Amidei; fotografia: Ubaldo Arata; montaggio: Eraldo da Roma; scenografia: R. Megna; musica: Renzo Rossellini; suono R. Del Monte; produzione: Excelsa Film; durata: 100’
Interpreti: Anna Magnani (pina); Aldo Fabrizi (don Pietro); Marcello Pagliero (Manfredi); Maria Michi (Marina); Nando Bruno (Agostino); Carla rovere (Lauretta); Francesco Grandjacquet (Francesco); Harry Feist (Bergmann); Giovanna Galletti (Ingrid); Vito Annichiarico (Marcello); Eduardo Passarelli (poliziotto); Carlo Sindici (commissario di polizia); Joop van Hulzen (Hartmann); Akos Tolnay (disertore austriaco).
Ha detto Roberto Rossellini di questo film: “un film sull’ovvio. L’ovvio di quel momento là, naturalmente.(…) Il coraggio, la paura, la rivolta, il partigiano, il borsaro nero, persino un bambino sul pitale”

Paisà (1946)
Regia: Roberto Rossellini.
Scritto: Victor Haines, Marcello Pagliero, Sergio Amidei, Federico Fellini, Roberto Rossellini, Vasco Pratolini; sceneggiatura: Federico Fellini, Roberto Rossellini; fotografia: Otello Martelli; montaggio: Eraldo da Roma; musica: Renzo Rossellini; produzione: Capitani film/OFI Foreign Film Prod. Inc.
Interpreti: 1° episodio: Carmela Sazio, Robert van Loon, Carlo Pisacane; 2° episodio: Dots M. Johnson, Alfonsino Pasca; 3° episodio: Maria Michi, Gar Moore; 4° episodio: Harriet White, Renzo Avanzo, 5° episodio: BillTubbs; 6° episodio: Dale Edmonds, Cigolani.
Il film fu presentato alla Mostra di Venezia del 1947. A differenza di “Roma città aperta”, Rossellini non concede nulla al narrativo e nemmeno al sentimento. E’ una cronaca fredda e spoglia dell’Italia attraversata dalla guerra.
1° episodio: una ragazza siciliana fraternizza con un soldato americano; entrambi sono uccisi dai tedeschi, ma gli americani crederanno la ragazza una traditrice.
2° episodio: uno scugnizzo napoletano ruba un paio di scarpe ad un soldato nero che finisce per l’impietosirsi, dopo aver visto le condizioni di vita della popolazione di Napoli.
3° episodio: una ragazza romana, costretta a prostituirsi, incontra il soldato americano che l’ha messa incinta, ma lui non la vuole rivedere.
4° episodio: un’infermiera inglese attraversa Firenze, durante i combattimenti, per cercare il partigiano che ama.
5° episodio: tre cappellani di confessioni diverse sono ospiti in un convento di monaci che digiunano, sperando nella conversione di due “eretici”.
6° episodio: guerriglia nel delta del Po. Da una parte, partigiani e paracadutisti inglesi e dall’altra i tedeschi.
Il film ispira una visione tragica ed asciutta della vita. Lo stesso finale introduce i motivi di una durezza non conciliatoria nella storia d’Italia.

Sciuscià (1946)
Regia: Vittorio De Sica
Scritto: Cesare Zavattini; sceneggiatura: Sergio Amidei, Adolfo Franci, Giulio Cesare Viola, Cesare Zavattini, Vittorio De Sica. Fotografia: Anchise Brizzi; scenografia: Ivo Battelli, Giuseppe Lombardazzi; montaggio: Nicolò Lazzari; musica: Alessandro Cicognini; produzione: Alfa Cinematografica.
Interpreti: Rinaldo Smordoni (Giuseppe), Franco Interlenghi (Pasquale), Aniello Mele (Raffaele), Bruno Ortensi (Arcangeli), Emilio Cigoli (Staffera), Gino Saltamerenda (il Panza), Anna Pedoni (Nannarella).
Film-verità, permeato dal surrealismo fiabesco di Zavattini, s’ispira a due bambini realmente conosciuti da De Sica. Nell’opera si sente tanto la mano di De Sica, per i dettagli della vita quotidiana, quanto quella di Zavattini, per il “pedinamento” dei personaggi che restano tali, senza divenire protagonisti. E’ una favola dolorosa, piena di umanesimo dimesso. In Italia fu un fiasco, mentre negli Stati Uniti fu premiata con l’Oscar al film straniero. “Scuscià” deriva dall’americano “shoeshiner” – lustrascarpe.
Il film narra la vicenda di due piccoli lustrascarpe romani che si trovano casualmente coinvolti in un furto e finiscono in riformatorio, dal quale cercheranno una drammatica fuga.