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Le origini della
canzone italiana: tra musica d’occasione ed inno
Alla fine del XVIII secolo s’afferma il concetto moderno di canzone:
componimenti musicali e poetici, nati espressamente a tavolino, per celebrare
determinate ricorrenze o per rendere omaggio ad una persona, come nel caso de La
biondina in gondoleta di Simon Mayr, dedicata ad una nobildonna veneziana.
Si afferma nell’età rivoluzionaria e napoleonica, come gli inni politici, ma
recupera anche le cantate regionali. C’è uno scambio di motivi e di spunti con
le arie del melodramma, per cui la canzone napoletana Te voglio bene assje, e tu
non pienze a me, di Sacco e Campanella, viene attribuita al Donizetti, mentre è
molto più vicina all’aria della “Sonnanbula” di Bellini, Vi ravviso o luoghi
ameni. Si ha notizia che già nel 1839 si teneva, nella grotta di Pozzuoli, un
concorso di canzoni improvvisate, che venivano giudicate e premiate direttamente
dal pubblico.
Il Risorgimento introduce l’inno patriottico, che porta alla nascita di un
sentimento nazionale diffuso, in larga misura appreso dall’invenzione poetica,
capace di infondere un senso di unità spirituale oltre che musicale (La bella
Gigogin; Inno di Garibaldi) mentre non mancarono gli accorati appelli musicali
alla pace (Povero Luisin).
Alla canzone italiana è stata attribuita la capacità di interpretare e di
spiegare, ancora meglio della storia e delle cronache politiche, le vicende
degli italiani. In questo senso si può inserire la polemica a proposito del
Canto degli Italiani di Novaro e Mameli (1848), noto come Fratelli d’Italia,
periodicamente al centro di polemiche sulla sua attualità e sulla scarsa e
rituale diffusione.
Per interi decenni la canzone italiana è legata alle esperienze delle cantate
regionali, con stornelli, serenate, villotte; poi nell’ultimo decennio
dell’Ottocento si afferma la canzone da salotto di Francesco Paolo Tosti –
autore nel 1884 di Musica proibita con “Vorrei baciare i tuoi capelli neri/ Le
labbra tue, quegli occhi tuoi severi” – seguita da quella napoletana d’autore:
‘O sole mio (1898), ‘A vucchella (1892) di Di Giacomo e D’Annunzio, I te vurria
vasà (1901) di Russo e di Capua. Sono gli anni dei “caffè concerto”, delle
operette, dei primi fonografi (1895), e un decennio più tardi dell’abbinamento
“cinema-disco” per l’accompagnamento sonoro.
La canzone italiana davanti alla Grande Guerra
L’irruzione delle masse sulla scena politica genera nuovi canti auto
rappresentativi, quali l’Inno dei lavoratori (1886), di Filippo Turati ed
Amintore Galli, Bandiera Rossa (1880) di Carlo Tuzzi, Bianco Fiore dei cattolici
Addio Lugano (1894) degli anarchici; l’emigrazione è cantata in Mamma mia dammi
cento lire e più tardi in Core ‘ngrato (1911). Le imprese coloniali generano
Inno a Tripoli (1912) e l’Inno a Roma scritto da Giacomo Puccini.
La Belle Epoque si chiude all’alba della Grande Guerra con le canzonette Ninì
Tiribusciò (1911) e con l’operetta degli Mario Costa, Virgilio Ranzato (poi
autore delle fortunate “Cin Ci là” e “Paese dei Campanelli”) e di Giuseppe
Pietri che musica i testi di Camasio ed Oxilia “Addio Giovinezza” (1915) che
comprende la canzone goliardico/amorosa Commiato, futura base per l’inno
fascista Giovinezza. Diversi brani furono ripresi ed adattati ad altre esigenze,
ora politiche ora parodiache gli avvenimenti quotidiani.
La canzone, piegata alle esigenze della guerra, si afferma seguendo tre linee:
l’inno patriottico di carattere plebiscitario (La leggenda del Piave di E.A.
Mario; La canzone del Grappa di Meneghetti e De Bono; Le campane di San Giusto
di Drovetti e Arona; le versioni alpine Bandiera Nera, Bombardano Cortina, Sul
ponte di Bassano); la canzone di protesta (Gorizia, Addio padre e madre addio,
La tradotta che parte da Novara); la canzone sentimentale-lacrimevole ‘O surdato
‘nnamurato di Cannio e Califano (1915), Come pioveva, Come le rose, Cara piccina
di Pasquariello e Gill. Comunque il 1918 segna l’inizio della nascita della
canzone “a tutti gli effetti”.
La canzone nell’età della radio
Fin dal 1924 sono sperimentate in Italia le prime trasmissioni radiofoniche,
irradiate prima dall’U.R.I. (Unione Radiofonica Italiana), e poi dal 1927
dall’E.I.A.R. (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche). Il mezzo radiofonico
favorisce la diffusione e la notorietà delle canzoni e provoca un’evoluzione dei
modelli musicali. L’esecuzione musicale diventa il sottofondo sonoro delle
attività casalinghe e del lavoro artigiano; la fortuna della musica leggera
porta al rapido declino la canzone popolare; le esecuzioni radiofoniche di
musica classica provocano l’allontanamento delle classi borghesi e colte dalla
pratica musicale. (U.Eco, 1965)
Gli anni venti segnano il tramonto della Belle Epoque, con ultime canzoni
evocanti quelle atmosfere (Vipera, Balocchi e profumi, Rose Rosse, di E.A.
Mario; Gastone; Addio Tabarin – 1922). Sono canzoni destinate esclusivamente ad
un pubblico adulto e solo il fascismo orienterà la musica al pubblico giovanile,
con lo scopo di esaltare le virtù “maschili” della società che voleva costruire.
La canzone italiana presentava diffusi stereotipi, con l’uomo guerriero e
conquistatore e la donna – secondo il caso - ora aggressivo oggetto sessuale,
ora madre, sposa fedele, sorella.
Il commercio discografico e le contaminazioni musicali attraverso gli
strumentali che lavoravano sulle navi-passeggeri, lungo le rotte atlantiche,
portarono ad una rapida diffusione dei ritmi americani. Il jazz, in auge grazie
anche a musicisti e compositori di origine italiana, one-step, fox-trot, shimmy,
charleston, s’impongono tra i più giovani. Qualche musicologo parla di antitesi
tra la musica americana di origine tribale e quella occidentale, dalle forme più
classiche. Dall’America meridionale giungono i cosiddetti ritmi “latini”,
sull’onda del successo di ritorno del tango, che generano canzoni, quali: Creola
(1926), Tango delle capinere (1928). Sono canzoni destinate ad un successo
particolare, soprattutto quando utilizzate per confezionare delle parodie
irriverenti su personaggi e situazioni tipicamente italiane.
S’inizia a ballare, in luoghi pubblici, al suono delle orchestrine, ed a casa,
con i dischi e con la radio. Il ballo si diffonde a tutti i livelli sociali e
soprattutto il ballo non è più un’esibizione di distinte classi sociali.
Sono esperienze guardate con favore anche dai futuristi, incuriositi dalla
modernità dei nuovi ritmi. Una parte non irrilevante del successo, è data pure
all’affermazione del cinema (si pensi alla figura di Rodolfo Valentino) e del
cinema sonoro (Il cantante di Jazz).
Anche il cinema italiano lancia dei motivi di successo, come Parlami d’amore
Mariù (nel film di Camerini Gli uomini che mascalzoni! con De Sica), Vivere,
Mille lire al mese.
Le battaglie ideologiche del fascismo d’esaltazione delle radici rurali, che
accompagnano le grandi bonifiche, la battaglia del grano le campagne
autarchiche, impongono la riscoperta del tratto popolare della canzone italiana,
con decisi inserti dialettali e il recupero di motivi musicali localistici (El
gagà del Motta, Chitarra romana, Firenze sogna).
Nel corso delle guerre d’Etiopia e di Spagna, durante le sanzioni contro
l’Italia, la canzone si adegua al clima con la nota Faccetta Nera, oppure con la
volgare Sanzionami questo. Diversi compositori si propongono di sollevare o di
distrarre la gente comune dalle incertezze di quegli anni; s’impongono i filoni
malinconici (Signorella, Non ti scordar di me), interpretati da Odoardo Spadaro,
Beniamino Gigli, Rodolfo De Angelis, e lo swing italiano, grazie ad autori come
Gorni Kramer ed interpreti quali Alberto Rabagliati, Natalino Otto e il Trio
Lescano (Mister Paganini, Bambina innamorata, Ba-ba-baciami piccina, Ma le
gambe, Non dimenticar le mie parole) che riusciva far passare la musica
nord-americana, malgrado la censura fascista.
Un grande successo è garantito dal filone scherzoso, con canzoni che spesso
erano una satira del regime e di alcuni influenti suoi esponenti: Bombolo, Ciri
biribin, Quel motivetto che mi piace tanto, Pinguino innamorato, Maramao perché
sei morto, Crapa pelada.
La canzone davanti ad un’altra guerra
I giovani entrano in guerra, accompagnati dai motivi del Valzer della candele,
di Rosamunda, di Pippo non lo sa e da quelli riproposti del decennio precedente.
I compositori cercano vie di fuga, con testi poco impegnativi, divagativi e
tendenti al “non sense”, quali Tulipan, Evviva la torre di Pisa e Il Visconte di
Castelfombrone che porta al successo il Quartetto Cetra. Arrivano anche le
canzoni di guerra, come Vincere, Canzone dei sommergibili, La sagra di Giarabub
fino a Le donne non ci vogliono più bene. In assoluto la canzone della guerra è
Lilì Marlen di Lale Andersen, suonata e cantata universalmente da tutti gli
eserciti in lotta.
I compositori italiani producono in quegli anni testi che rappresenteranno, in
antitesi alla drammaticità di quei tempi, un’epoca: Bixio e Cherubini compongono
Mamma, resa famosa da Beniamino Gigli nell’omonimo film; sempre il cinema lancia
Ma l’amore no di D’Anzi e Galdieri e Voglio vivere così di D’Anzi e Manlio,
cantata dal tenore Ferruccio Tagliavini. In particolare, la canzone Ma l’amore
no riscuote un grande successo grazie all’interpretazione canora di Lina Termini
ed all’attrice Alida Valli. Arrivano poi La famiglia Brambilla, Oi Marì, Ho un
sassolino nella scarpa, e con la guerra partigiana, le canzoni di lotta, spesso
riprese ed aggiornate dai canti politici della guerra di Spagna o
dell’emancipazione politica dei lavoratori (La Brigata Garibaldi, Pietà l’è
morta, Fischia il vento, Bella ciao).
Nel sud d’Italia, mentre si stavano imponendo i nuovi ritmi, come il boogie
woogie, c’era ancora spazio per qualche novità, capace di recepire il
rinnovamento, ma anche il senso della transizione (Dove sta Zazà di Cioffi e
Cutolo; Tammuriata nera dell’intramontabile E.A. Mario).
Il dopoguerra: voglia di rimozione e di minimizzazione.
Il clima del dopoguerra è bene rappresentato dal ritornello di Simmo ’e Napule:
“Scurdammoce o passato!”, in quanto il compito della canzone è di sollevare lo
spirito degli italiani. Sotto la pressione della musica leggera americana, si
afferma il protezionismo mercantile di quella italiana, con la definizione di
una “canzone all’italiana”. La produzione predilige i consueti filoni, amoroso
(Pino solitario, Addormentarmi così, La signora di trent’anni fa), giocoso (I
pompieri di Viggiù, I cadetti di Gauscogna, Avanti e indrè). La questione del
confine orientale diviene spunto per Trieste mia cantata in un film da Luciano
Tajoli, e per Vola colomba, grande successo di Nilla Pizzi, al Sanremo del 1952.
Tra la fine degli anni quaranta e inizi degli anni cinquanta, la canzone
italiana rimane isolata e non segue le linee di rinnovamento che giungono
dall’incubazione del rock americano o dall’apporto “alto” dei poeti
dell’esistenzialismo alla canzone francese (Sartre, Prévert, Queneau). Casomai
giungono i ritmi latino-americani, importati attraverso le commedie musicali di
Macario e di Wanda Osiris. La canzone italiana sopravvive negli accompagnamenti
musicali delle prime pubblicità televisive, nelle esecuzioni delle orchestre che
operano all’interno della Rai (Angelini, Barzizza, Canfora, Trovajoli, Kramer,
Luzzati), e nel festival di Sanremo e pure in quello della canzone partenopea.
Sono gli anni di Campanaro, Buongiorno tristezza, Vecchio scarpone, ma anche del
boom dei dischi con Grazie dei fior interpretata da Nilla Pizzi (1951), Papaveri
e papere, Casetta in Canadà e Tutte le mamme (1954).
La svolta del 1955
Nel 1955 l’innovazione giunge dalla canzone napoletana (si ripassa per una
piazza musicale delle origini) con Roberto Murolo e soprattutto con Renato
Carosone; egli forma un trio con Gegè di Giacomo e Peter Van Wood ed approda ad
un gruppo orchestrale che riprende i motivi nord americani, questa volta riletti
nei riflessi mediterranei (Caravan Petrol, Torero, Tu vuo’ fa’ l’americano). Si
afferma pure Fred Buscaglione, deceduto nel 1960 in un incidente, che introduce
una canzone, sullo stile francese, in versione comico-demenziale, vero manifesto
degli anni del boom economico (Che bambola!, Teresa non sparare, Eri piccola
così).
Altra innovazione giunge dalla canzone da “night”, dal tono confidenziale, per
voce e
pianoforte, con le esecuzioni dei giovani Peppino di Capri, Fred Bongusto (Una
rotonda sul mare) e del più maturo Bruno Martino (E la chiamano estate…).
Una linfa praticamente perenne giunge dalle esibizioni dei complessi, come il
Quartetto Cetra, dal lancio dei primi cantautori, come Domenico Modugno, con
Vecchio frack (1954), che trova la fama definitiva quattro anni più tardi a
Sanremo con Nel blu dipinto di blu (Volare). Allora il festival della canzone
non lanciava i cantanti ma le canzoni, che erano presentate in due versioni
canore e le prime trasmissioni televisive erano centrate solo sulle canzoni,
come per il caso de “Il Musichiere” di Mario Riva. I cantanti, invece, trovavano
la loro fama nelle commedie musicali, soprattutto quelle firmate da Garinei e
Giovannini, ed interpretate da artisti come Renato Rascel.
Il 1959, l’anno del “boom economico” è accompagnato da un grande fervore che si
traduce, nel campo della musica italiana, in nuove esperienze echeggianti i
ritmi americani e soprattutto la forte penetrazione del rock a’roll: arrivano a
Sanremo un giovane Adriano Celentano, che aveva già lanciato la canzone Il
ribelle, seguita da 24 mila baci, vista come totale rivoluzione della canzone
all’italiana: non piacque nemmeno agli intellettuali di sinistra, troppo
distanti dei fenomeni mediatici ed ancorati alle teorie del rilancio del lirismo
impegnato politicamente, che aveva portato ad esperienze come “Nuovo Canzoniere
Italiano” e “Cantacronache”; ballate popolari che narravono storie di
emigrazione, di sfruttamento del proletariato.
I primi anni sessanta: tra boom adolescenziale e cantautori
L’arrivo sulla scena, dal 1964, di cantanti giovani e giovanissimi, sull’onda
del successo inglese dei Beatles, che sostituiscono piccole “band” musicali, con
una batteria e chitarre elettriche, offre una nuova dimensione alla canzone
italiana. Si era mosso, per un’altra linea il citato Celentano, che presto
formerà il “Clan” con Don Backy, Pilade, Migliacci, Mogol, mentre Mina
(Annamaria Mazzini), nel 1958 aveva già stupito con Le mille bolle blu, che
aveva scandalizzato critici e benpensanti per la carica di appeal che era in
grado di trasmettere e per il testo modernissimo ed apparentemente demenziale,
mentre ben pochi si erano accorti delle sue reali estensioni canore,
paragonabili – all’epoca – a quelle del soprano Maria Callas.
Iniziano le rivalità, vere o montate dalla stampa periodica, tra le nuove regine
della musica italiana: Mina e Milva, quest’ultima sostenuta da quella larga
parte di pubblico che sentiva ancora vivo il contributo alla canzone italiana,
dato da quella francese, degli ambienti esistenzialisti e della “novelle vague”.
Si affermano progressivamente anche i cantautori italiani, espressione di un
rinnovato lirismo che trae spunto dalle contraddizioni della vita quotidiana. E’
un fenomeno prettamente settentrionale, che s’identifica nelle due città. Genova
e Milano, che hanno visto il più forte afflusso di emigranti, attratti dalle
opportunità dello sviluppo industriale. Si affermano progressivamente Fabrizio
De Andrè, Gino Paoli, Giorgio Gaber, Enzo Jannacci, Luigi Tenco, fino a Guccini
e Lucio Dalla, quest’ultimo proveniente dall’esperienza rock ballabile e dalla
stagione dei complessini, come i “Flipper”, e transitato attraverso forme di
sperimentazione canora. Sono autori legati all’esperienza della canzone
francese, a quella di Brel e di Brassens, mentre altri si avvicineranno alla
cosiddetta “British invasion”, come Paolo Conte, Lucio Battisti, come
d’Oltremanica giungeranno cantanti e gruppi musicali di esportazione che
goderanno di una certa notorietà.
Le spallate musicali inglesi non scuotono ancora la musica italiana, che si
rigenera nelle sonorità dei teen-ager, scoprendo attraverso i molti concorsi per
voci nuove (Castrocaro, per tutti) i nuovi idoli: Rita Pavone, Gianni Morandi,
Patty Pravo (direttamente dagli ambienti del locale da ballo “Piper” di Roma),
Johnny Dorelli, il casco d’oro Caterina Caselli.
Se da una parte le vocalità degli americani “Platters” sembrano già lontane ma
non irriproducibili, come nel caso del successo di Bobby Solo, nel panorama
musicale italiano, dall’altra la canzone italiana continua a sfornare facili ed
orecchiabili successi, trascinati dalle migliori edizioni televisive di
Canzonissima, dai film-musicarelli e dalla fortuna dei motivi balneari,
interpretati principalmente da Edoardo Vianello (Watussi, Abbronzatissima,…) dai
Los Marcelos Ferial (Quando calienta el sol), da Fred Bongusto (Frida, Una
rotonda sul mare), da Franco I e Franco IV (Ho scritto t’amo sulla sabbia), da
Nico Fidenco (Legata a un granello di sabbia), da Jimmy Fontana (Luglio), fino a
Mario Tessuto (Lisa). Sono gli anni delle prime vacanze estive, celebrate come
un rito collettivo, inevitabilmente accompagnate dai juke-box, che rilanciano i
successi di Mina (Città vuota, E’ l’uomo per me).
Continua la stagione del rock ‘a roll con Little Tony ed i suoi successi, come
Cuore matto, mentre un’altra rivoluzione generazionale si profila all’orizzonte,
alla quale i gruppi musicali più avvertiti, i complessi, si stavano rivolgendo,
importando le versioni in italiano dei maggiori successi inglesi ed americani:
sono, tra gli altri, i “Dik Dik”, l’ “Equipe 84”.
Nel 1967 esce in Inghilterra il disco dei Beatles “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts
Club Band”, a Monterey si tiene il festival della musica pop, a San Francisco i
giovani sfilano accompagnati dalla musica, e in quell’estate le canzoni più
gettonate dagli italiani sono: A whiter shade of pale dei Procol Harum, Nel sole
di al Bano, La banda di Mina, La coppia più bella del mondo di Celentano e
Claudia Mori, A chi di Fausto Leali, Dio è morto dei Nomadi, Stasera mi butto di
Rocky Roberts, Pugni chiusi dei Ribelli, Parole di Nico e i Gabbiani.
Il rivoluzionario ’68 fu dichiarato “fiacco” sotto il profilo della produzione
musicale italiana, eppure De Andrè scandalizza con Si chiamava Gesù, Sergio
Endrigo vinceva Sanremo con Canzone per te, Caterina Caselli vinceva il
Cantagiro con Il volto della vita, Patty Pravo entrava in classifica con La
bambola, esplodeva l’irrivenza di Enzo Jannacci con il profetico Vengo anch’io;
infine arriva dalla Francia Sylve Vartan con Come un ragazzo e nel film Nel sole
vengono lanciati al Bano e Romina Power. Tuttavia i maggiori successi sono le
esecuzioni di autori stranieri e le versioni italiane di brani esteri: La nostra
favola, Io per lei, Ore d’amore, Affida una lacrima al vento. |