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Avida Dollars

Il 20 luglio 1938, nella lettera a S. Zweig, Freud scriveva:
"Caro signore, bisogna realmente che io vi ringrazi della parola di introduzione che mi ha condotto il visitatore di ieri. Poiché fino a quel momento ero tentato di considerare i surrealisti, che apparentemente mi hanno scelto come santo patrono, come dei pazzi integrali (diciamo al 95%, come per l'alcool puro). Il giovane Spagnolo, con i suoi candidi occhi di fanatico e la sua indubbia padronanza tecnica, mi ha incitato a riconsiderare la mia opinione. In realtà, sarebbe molto interessante studiare analiticamente la genesi d'un quadro di tal genere. Dal punto di vista critico si potrebbe tuttavia dire che la nozione d'arte si rifiuta ad ogni estensione quando il rapporto quantitativo tra il materiale inconscio e l'elaborazione precosciente non si mantiene entro limiti determinati. Si tratta qui, in ogni caso, d'un serio problema psicologico."
Con queste parole Freud descriveva le sue impressioni di fronte alle tele del giovane Salvador Dalì detto anche "Avida Dollars"(famoso anagramma coniato da Breton). Freud era stato per il surrealismo quello che Winckelmann era stato per i neoclassici: l'ispiratore o, come egli stesso si definisce, "il santo patrono".
Già nel Manifesto del Surrealismo (1924) Andrè Breton, riconosceva apertamente l'apporto fondamentale degli studi di psicanalisi, anzi dichiarava apertamente che il metodo della psicanalisi era proprio la strada da seguire per raggiungere la libertà dell'immaginazione: lasciarsi guidare dall'inconscio, come accade nel sogno, lasciare che le immagini scorrano nella propria mente liberamente, per rivelare la nostra interiorità che altrimenti resterebbe ignota anche a noi stessi.
Freud d'altra parte si era subito stancato di questa scomoda "paternità", accusando i surrealisti di essere dei "pazzi integrali". La sua opinione cambia però di fronte alle opere di Dalì, di cui ammira la notevole padronanza tecnica; Freud si dichiara profondamente interessato nello scoprire la genesi delle opera di Dalì, ma quello che più lo affascina è la complessa personalità del pittore. Freud, pur non conoscendo la vicenda interiore di Dalì, deduce che qualcosa nel corso della vita lo ha intaccato dal punto di vista psicologico.
Tre anni prima della sua nascita i suoi genitori avevano subito la perdita di suo fratello maggiore, un altro piccolo Dalì di sette anni. E quando nacque Dalì, egli, sin dall'inizio somigliava all'altro fratello "come un'immagine riflessa nello specchio". E i suoi genitori, "fissati" ancora con l'altro Dalì, gli diedero il nome del fratello morto: Salvador. La sua infanzia trascorse quindi fra foto del fratello morto sparse per la casa e rimproveri dei suoi genitori: "Non uscire senza sciarpa, altrimenti morirai come tuo fratello". Quel periodo critico che porta i bambini alla scoperta della propria immagine del corpo (o schema corporale), essenziale ad un corretto sviluppo psicologico, in quanto influenza poi tutti i comportamenti futuri della persona, si rivelò drammatico per Dalì. Egli, col passare del tempo, si identificò sempre di più nel fratello morto. Dalì si sentiva "l'ombra in decomposizione" dell'altro Salvador, non dotato di essenza reale, ma un guscio vuoto in continua decomposizione e scioglimento.
La sua vita è segnata da altre vicende emblematiche, ma è stata proprio la sua infanzia a segnare definitivamente la sua personalità e, quindi, la sua pittura. La mollezza delle sue figure, il loro stato di decomposizione, sono tutti elementi che discendono direttamente dalla sua identificazione con il fratello morto. La sua pittura è quindi interessante non soltanto perché ha lo scopo di portare alla luce le immagini e le pulsioni dell'inconscio, ma anche perché è quasi una autobiografia ermetica dell'artista.
Il Surrealismo per Dalí era l’occasione per far emergere il suo inconscio, secondo quel principio dell’automatismo psichico teorizzato da Breton. “Automatismo psichico puro col quale ci si propone di esprimere sia verbalmente che per iscritto o in qualsiasi altro modo, il funzionamento reale del pensiero. Dettato dal pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica o morale”. E a questo automatismo psichico Dalí diede anche un nome preciso: metodo paranoico-critico. Che cos'è dunque questo famoso metodo paranoico-critico?Dalì lo spiega in un saggio fondamentale,"La conquista dell'irrazionale"(1935),dove descrive le proprie ricerche e afferma:"Tutta la mia ambizione,sul piano pittorico,consiste nel materializzare con la più imperialistica smania di precisione le immagini dell'irrazionalità concreta... che provvisoriamente non sono spiegabili né riducibili attraverso i sistemi dell'intuizione logica o i meccanismi razionali". E ancora:"Attività paranoico-critica:metodo spontaneo di conoscenza irrazionale basato sull'associazione interpretativo-critica di fenomeni deliranti". Dunque le immagini che l’artista cerca di fissare sulla tela nascono dal torbido agitarsi del suo inconscio (la paranoia) e riescono a prendere forma solo grazie alla razionalizzazione del delirio (momento critico).
Discendono dal metodo paranoico-critico anche quei cassetti che Dalì dissemina nelle sue opere come "Lo stipo antropomorfico"(1936),"Giraffa in fiamme"(1936-37),o della sua celebre "Venere di Milo a cassetti"(1936).

Questi cassetti Dalì la ha attinti da Freud.Se ne è servito per rappresentare in immagini le teorie psicanalitiche del professore viennese - che incontrerà una sola volta nel 1938 a Londra, un'occasione per mostrargli "Metamorfosi di Narciso"(1937) e per eseguirne a memoria il ritratto, il cui cranio era per Dalì un guscio di lumaca - teorie di cui diceva che "sono delle specie di allegorie destinate a illustrare un certo compiacimento nel sentire gli innumerevoli odori narcisistici che emanano da ognuno dei nostri cassetti". E in seguito Dalì doveva precisare:"L'unica differenza tra la Grecia immortale e l'epoca contemporanea è costituita da Sigmund Freud,il quale ha scoperto che il corpo umano,puramente neoplatonico all'epoca dei Greci,è oggi pieno di cassetti segreti che soltanto la psicanalisi è in grado di aprire". La scelta iconografica del dipinto deriva dalle suggestioni artistiche ricevute durante il viaggio in Italia compiuto dall’artista nel 1936, così come le figure dei nudi sullo sfondo che evocano pose classiche e atteggiamenti formali tipici dell’arte rinascimentale e manierista. Il mito classico del giovane Narciso, che innamoratosi della propria immagine riflessa in uno specchio d’acqua e impossibilitato a possederla si trasforma nel fiore che porta il suo nome, offrì lo spunto all’artista per inscenare questa metamorfosi ovidiana in un’ambigua relazione tra illusione e realtà, come egli stesso descrisse nel suo poema intitolato appunto La Metamorfosi di Ovidio. La splendida figura accovacciata di Narciso, che giganteggia come una roccia sulla superficie lucida e riflettente del lago, si trasforma nel suo doppio che assume l’aspetto di una grande mano pietrificata che regge un uovo crepato da cui nasce il fiore narciso. Le fasi di trasformazione sono rese in una narrazione consecutiva da sinistra a destra, così anche i colori opachi e le forme dapprima trasparenti, evanescenti e quasi invisibili acquistano gradatamente una connotazione realistica e concreta, come un lento risveglio dopo un sogno visionario.
Paranoico-critico anche il "Sogno causato dal volo di un'ape intorno a una melagrana,un attimo prima del risveglio"(1944),il cui titolo è di per sé esplicativo:"Immaginare per la prima volta la scoperta operata da Freud del sogno tipico di lunga affabulazione argomentale, conseguenza dell'istantaneità di un incidente che causa il risveglio. Come la caduta di una barra sul collo del dormiente ne provoca simultaneamente il risveglio e un lungo sogno culminante nella mannaia della ghigliottina, così il ronzio dell'ape provoca la puntura del dardo che risveglierà Gala"
Dalì fornisce anche un'interpretazione storica e frudiana del suo amore per la moglie Helena Devulina Diakanoff, figlia di un funzionario di Mosca, da tutti soprannominata Gala,la quale incarna perfettamente la donna delle sue fantasie infantili,quella che miticamente ha battezzato Galutchka e che hanno personificato innumerevoli ragazzine ed adolescenti del tipo "Giovane donna dell' Ampurdàn".
"Poteva essere la mia Gradiva ("colei che avanza"),la mia vittoria,la mia donna. Ma perchè questo fosse possibile,bisognava che mi guarisse.E lei mi guarì,grazie alla potenza indomabile e insondabile del suo amore:la profondità di pensiero e la destrezza pratica di questo amore surclassarono i più ambiziosi metodi psicanalitici". Dalì aveva appena letto "Gradiva", il romanzo di Jensen interpretato da Sigmund Freud ("Il delirio e il sonno"), nel quale l'eroina,Gradiva appunto,riesce a guarire psicologicamente il protagonista. In questo periodo,dunque,che segna l'avvento di Gala e l'inizio del suo regno,di tela in tela si assiste al manifestarsi delle mutazioni sessuali che intervengono nella vita di Dalì, sotto forma ora di una contrapposizione tra il "molle" e il "duro",ora della loro complementarietà. Gli esempi abbondano e costituiscono un autentico florilegio non deturpato dell'atavismo culinario catalano onnipresente.Ecco quindi delle "Uova al tegame senza il tegame"(1932),tema caro a Dalì che l'associa alle immagini prenatali e all'universo intauterino; la "Persistenza della memoria"(1931), o il "Pane antopomorfo",detto anche "Pane catalano"(1932,tanto aggressivamente fallico quanto minacciato dal tempo (l'orologio molle) di cadere in potere di una donna."L'enigma del desiderio"(1929),fa anch'esso parte di questa saga torbida che procede dall'incontro con Gala. Nell'appendice barocca che prolunga il viso, si riconoscono le strutture geologiche delle rocce erose dal vento della regione di capo Creus e insieme l'influenza dell'architettura fantastica di Antoni Gaudì,"questo gotico mediterraneo"che Dalì ammira fin dall'infanzia. In quest’opera dipinta in Catalogna, a Figueras, il volto dell’artista, addormentato nel solito paesaggio sospeso e cristallino, questa volta produce un sogno ossessivo e morboso, quello della madre, fonte di un enigmatico desiderio da castrare e inibire, materializzato in una gigantesca forma ibrida culminante in una piccola testa di leone. Nel barocco prolungamento del profilo disteso, sembra che la struttura geologica di una roccia erosa dal vento (forse uno degli scogli di Capo Creuso) prenda lentamente la forma di un elemento architettonico di Antonio Gaudí, il cui gotico mediterraneo il pittore aveva visto da bambino a Barcellona. Le scritte ripetitive ma mere, ma mere, ma mere sono ispirate al poema di Tristan Tzara Il grande lamento della mia oscurità, del 1917, e formano dei solchi sulla superficie di quella forma inquietante. Il piccolo gruppo dipinto sulla sinistra sembra raffigurare lo stesso artista che abbraccia il padre, insieme ad altri ricorrenti e paranoici simboli: il leone, la testa di donna, il pesce, la cavalletta, la mano col pugnale, e in fondo un torso femminile nudo che si intravede da una roccia forata.
 


Percorso interdisciplinare di sonja sekanic anno scolastico 2004-2005 liceo scientifico "G.Oberdan" Trieste