"Nostro grande spirito guida", iniziò la felce "Ho veduto due strani esseri qui nel bosco, erano alti come quella siepe di biancospino lì dietro il ruscello, sembravano mobidi come le bacche del ribes, ma di un colore simile alle rose di macchia. In cima, uno di loro, aveva un cespuglietto tale e quale all’erba quando è ormai secca e, anche l’altro ne aveva uno, ma molto più rigoglioso e del colore di quel fungo velenoso laggiù. Ma cosa potevano mai essere?
"Cara, giovane, pianticella," disse lo spirito con solennità, "tu hai veduto due esseri umani". E la felce continuando "Si e mi sembrava che insieme fossero davvero molto felici". disse la pianta trasportata dal ricordo.
"Be’!" Disse il saggio spirito. "Credo proprio che tu abbia visto un qualcosa che si chiama amore." Ma prima che lei potesse continuare la felce riprese a parlare.
"Madre Natura, io vorrei poter essere felice come uno di quei due esseri umani" disse lei in un lampo.
"Ma non è possibile, tu appartieni ai vegetali e non agli umani, c’è una grande differenza".
"E allora, Madre Natura, ti prego, tu che puoi tutto, trasformami in un essere umano". Chiese lei con entusiasmo.
"Ma non è possibile, tu sei nata pianta e devi rimanere pianta. E’ tutto catalogato e diviso in Natura, non si possono confondere le cose!" Si sbrigò a rispondere lo spirito, ma poi, meditando un attimo, disse "Però, una soluzione ci sarebbe..." e dicendo questo, sparse un po’ di polvere magica sulle fronde della felce.

Ne nacque una bimba piccina, piccina. Aveva le guance del colore dei petali delle rose di macchia, gli occhi grandi e limpidi come le acque del ruscello, solo i capelli non somigliavano affatto a quelli degli esseri umani: erano verdognoli con striature gialline, proprio come le fronde della felce. Era una fata, era nata Lisis la fata della felce.
Il giorno dopo nel bosco tornò la coppia d’innamorati e trovarono la bimba. "E tu chi sei?" chiese il ragazzo. "Sono la fata della felce, il mio nome è Lisis" rispose la piccola sorridendo.
"Sono una fata buona, vi porterò fortuna, mi portate a casa con voi?" I due ragazzi si guardarono e, di comune accordo, dissero di si.
La fata crebbe con loro e con la loro prole. L’unico comportamento curioso era la sua continua necessità di acqua.
Divenne pian piano una fanciulla bellissima.

Ma i ragazzi del paese, pur trovandola molto affascinante, erano intimoriti dagli strani capelli verdi e da quegli occhi così sfolgoranti. Nessuno aveva il coraggio di avvicinarla, solo di prenderla in giro. "Guardate, ecco capelli di alghe!" Diceva qualcuno al suo passaggio. Lisis gli avrebbe voluto rispondere che quelle che vedeva non erano alghe, per niente, ma felci e che era un bell’ignorante!
Ma si sa, le fate, anche se sono fate buone, sono dispettose e permalose. Così molti ragazzi del paese, per punizione, si ritrovarono con la lingua verde e non si azzardavano più ad aprire bocca per nessun motivo. Se la dovevano usare per dire tali sciocchezze era meglio che la tenevano chiusa!
La bella fata si sentiva però molto triste e un giorno decise di fare una passeggiata nel bosco natio.

 

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