EDVARD MUNCH

"Senza paura e malattia, la mia vita sarebbe una barca senza remi.”

Biografia

Edvard Munch nacque nel 1863 a Löten (Norvegia). Da giovane studiò inizialmente nella sua terra, vincendo una borsa di studio che gli permettè di trasferirsi a Parigi, che all’epoca era considerata la capitale dell’arte, dove studiò gli impressionisti. In seguito si spostò in diverse città europee, mentre si consolidava l’amicizia che lo legava a Van Gogh e a Gauguin. Maturò una cultura letteraria e intellettuale non indifferente.

Egli apprese la lezione dell’Avanguardia francese, dell’impressionismo, ma capì che la sua strada era un’altra e iniziò così a dare vita a uno stile proprio, per il quale sarà riconosciuto come il precursore dell’espressionismo tedesco. Trattò con grande originalità ed efficacia anche l’incisione e la xilografia.

Nel 1908 dopo un periodo trascorso presso una clinica di Copenaghen a causa di una psicosi ossessiva che gli procurò dilanianti manie di persecuzione e persino una paralisi degli arti, Munch tornò in Norvegia, scegliendo di vivere lontano dalla città, rifugiatosi in un villaggio, a contatto con la natura. I suoi quadri diventarono baluardi contro la pazzia, anche se la sua pittura continuava ad esternare rapporti con il mondo combattuti e sofferti, come nel rapporto con l’amore, di cui Munch parlava come connubio inquietante tra eros-thanatos.

Morì a Ekely nel 1944 a causa di una brutta polmonite.

 

L’angoscia nelle opere di Munch

Munch si ispirò alla filosofia di Kierkegaard e ha il merito di aver contribuito alla sua diffusione al di fuori dei paesi scandinavi, all'interno dei quali era rimasta confinata per tutto l'Ottocento. Nei suoi quadri Munch esprime infatti i temi dell'esistenzialismo cristiano di Kierkegaard e, in particolare, quelli dell'angoscia e della disperazione in quanto sentimenti che manifestano la finitezza e la conflittualità interna dell'io.

Munch stesso affermava "La mia arte ha le sue radici nelle riflessioni sul perché non sono uguale agli altri, sul perché ci fu una maledizione sulla mia culla, sul perché sono stato gettato nel mondo senza poter scegliere…" e in queste tele, emerge proprio tutta la sua disperazione, il suo voler essere interprete della coscienza umana.

Dopo la perdita della madre e della sorella, la morte divenne per lui un elemento costante, al punto che egli affermava di non aver mai superato l’infelicità di allora, e di aver sempre vissuto solo con malattie e morte. Non stupisce che tutte le sue tele, dunque, siano popolate da spettri della mente, da fantasmi dell'anima, da inquietanti presenze dai volti simili a teschi, che in una immobilità glaciale, sembrano fissarci, situati in paesaggi nei quali i cieli si tingono di rosso sangue o di viola.

Munch replicava instancabilmente i suoi soggetti, le proprie ossessioni, alla ricerca di una soluzione al dolore.

 

“L'URLO - IL GRIDO”

(1894 olio, tempera e pastello su cartone; cm 91 x 73,5 rubato dal Nasjonalgalleriet)

 

“Il grido” (o “L’urlo”, come viene spesso chiamata l’opera nella traduzione italiana), fa parte di una serie di opere realizzate da Munch tra la fine dell’ottocento ed i primi del novecento e che l’autore stesso ha idealmente raccolto in una serie intitolata “Fregio della vita”.

Dell’opera esistono altre versioni, di cui alcune incisioni in bianco e nero che anticipano le versioni rese a colori. Una versione a colori anticipa di un anno questa prescelta: è un olio su tavola cm 83,5 x 66 ed è conservata ad Oslo al Munch Museet.

La prima impressione che l’osservatore ha guardando questa particolare opera di Munch, è, appunto, di angoscia. Attraverso la forma ed i colori quest’opera riesce dunque a trasmettere una sensazione a livello dell’inconscio. L’opera agisce nell’animo stesso dell’osservatore perché è espressione diretta dell’animo dell’autore. Colori irreali, contrastanti, contorni dissolti, forme indefinite sembrano emergere dalla dimensione del sogno. La prospettiva, tesa e obliqua, dà al ponte una lunghezza allucinante, resa soprattutto dal contrasto cromatico e dalle linee ondulate che partendo dalla sagoma dell’uomo si propagano per tutto il dipinto.

Il tapparsi le orecchie è una figura che compare anche in un’altra opera di Munch, raffigurante la sorella sul letto di morte della madre; inel caso del grido, le mani portate alle orecchie non servono però a non sentire un urlo che parte da dentro e si propaga verso l’esterno.

 “Una sera passeggiavo per un sentiero, da una parte stava la città e sotto di me il fiordo. Ero stanco e malato. Mi fermai e guardai al di là del fiordo - il sole stava tramontando - le nuvole erano tinte di un rosso sangue. Sentii un urlo attraversare la natura: mi sembrò quasi di udirlo. Dipinsi questo quadro, dipinsi le nuvole come sangue vero. I colori stavano urlando”.

(Edvard Munch, spiegazione del grido)

 

"IL VAMPIRO"

(1893-1894, olio su tela, 91 x 109 cm, Munch Museet, Oslo)

 

Come detto precedentemente, per Munch l’amore era un connubio inquietante tra eros-thanatos, come si evince da quest’opera, in cui i capelli della figura femminile diventano una rete di filamenti di sangue che inglobano la testa dell'uomo, che viene privato della vita con un morso.

Munch vede la donna come il centro di uno sconvolgente mistero sessuale, di cui avverte la profondità senza però essere capace di poterlo analizzare o sondare, poiché è privo degli strumenti adeguati. Proprio questa impossibilità di analisi farà sì che egli veda nella donna una figura minacciosa e crudele: da qui l’identificazione della donna con la figura mostruosa del vampiro. In altri dipinti invece, rimosse per il momento le torbide implicazioni sessuali, la donna è vista sotto gli aspetti sereni della madre e della figlia.

 

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Percorso interdisciplinare di Pamela De Pasquale Anno Scolastico 2004-2005 Liceo Scientifico "G.Oberdan" Trieste