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Edvard Munch è nato il
12 dicembre del 1863 a Loten in Norvegia. L’anno dopo la famiglia si
trasferisce a Oslo, dove i pochi anni nascono cinque figli. Nel 1868,
nella settimana di Natale muore la madre, lasciando dietro di se un
grandissimo dolore e un vuoto incolmabile che lascerà una traccia
evidente nella vita di Munch.
A sette anni Munch ha il suo primo approccio con l’arte, il padre
approva questa sua inclinazione, nonostante la famiglia non vivesse
negli agi. A quindici anni muore di tubercolosi l’amata sorella
Sophie, e per Munch è un altro grande dolore, tanto che egli dice:
”Nella casa della mia infanzia abitavano malattia e morte. Non ho
mai superato l’infelicità di allora. Così vissi con i morti.” Così
si convince di essere predestinato ad una vita di angoscia. Si sente
felice solo quando dipinge, perciò nel 1880 scrive: “Sono adesso
deciso a diventare pittore”, frequenta lezioni e partecipa a delle
mostre di giovani artisti, ma i suoi quadri non vengono giudicati
bene dalla critica (l’opera “Il Mattino” viene definita da un
giornale “banale e di cattivo gusto”). Nel 1881 va a Parigi e rimane
influenzato dalla pittura impressionista, sebbene ne rimane deluso. |

Nelle sue opere Munch esprime i suoi sentimenti, le sue
paure, le emozioni che prova di fronte alla natura. Per questo motivo Munch
viene definito il precursore del movimento espressionista. Questa corrente
nasce nel 1905 quando a Dresda quattro giovani studenti di archittetura
formano un gruppo chiamato Die Bruke (il ponte). La novità
dell’espressionismo sta nel fatto che i pittori non riproducono più la
realtà, la natura come la vedono di fronte a loro come facevano i realisti (Courbet,
Millet e Daumier), non cercano di cogliere l’attimo fuggente come gli
impressionisti (Monet, Manet, Renoir e Degas), ma gli espressionisti
riproducono sulla tela i sentimenti che un dato oggetto gli suscita. I
maggiori esponenti di questa corrente sono Kirchener, Rottluff, Nolde e
Muller. Le caratteristiche di questa pittura sono l’uso di colori acidi e
aggressivi, vengono eliminati alcuni indicatori di profondità, e le figura
si fanno bidimensionali, le linee spigolose.
Queste sono le caratteristiche principali della pittura di Munch, che
riproduce nei suoi quadri non solo i sentimenti provocati da un oggetto in
un qualche momento, ma anche i sentimenti della sua vita passata. Perciò i
principali temi affrontati sono l’angoscia, la disperazione, la morte.

Il suo primo approccio con questo tipo di pittura lo ha nel 1885-1886 con
l’opera “La fanciulla malata”. Con il quale esprime il dramma vissuto da
bambino di fronte alla morte. L’angoscia, la desolazione, la quieta
Disperazione di un giovane davanti al dissolversi della propria vita vengono
messe in risalto da una tecnica pittorica velata, tremolante, sfumata nei
contorni, quasi in dissoluzione, come la stessa vita.
Anche quest’opera viene criticata, ma nonostante ciò Munch continua a
dipingere. Nell’inverno del 1886 muore il padre aumentando così il senso di
malinconia. Nel 1891 studia le tele di Gaugain e si avvicina al linguaggio
simbolista e sintetista.
Nel
1892 elabora il “Fregio della vita” una seria di quadri in cui sono presenti
i temi dell’esistenza e del destino dell’uomo: egli si pone delle domande
esistenziali su amore, vite e morte. Nel 1893 egli elabora “L’Urlo” il suo
capolavoro; con queste parole egli descrive la sua esperienza: “Camminavo
sulla strada con due amici, il sole tramontava, sentii come una vampata di
malinconia, il cielo divenne improvvisamente rosso sangue. Mi arrestai. Mi
appoggiai al parapetto, stanco da morire… rimasi là tremando d’angoscia e
sentivo come un grande interminabile grido che attraversava la natura.”
L’uomo in primo piano che cammina sul ponte, simbolo della vita, è
completamente solo, due figure si allontanano da lui; il suo viso non ha
alcuna connotazione, i suoi lineamenti sono fortemente deformati, come lo
spazio dietro di lui. Il dramma, l’angoscia, nasce dalla prospettiva obliqua
del ponte, dai colori, dalle linee curve che partono dalla testa e dalla
posizione delle mani e si propagano intorno come ondate, con andamenti
eccentrici (elementi di concavità contrapposti a elementi di convessità)
come se fosse un amplificazione e rifrazione sonora dell’urlo, che superando
la dimensione del singolo individuo diventa universale. I colori, violenti e
contrastanti, stesi con pennellate ondeggianti, creano uno sfondo
inquietante e sottolineano la drammatica condizione dell’uomo.
Nel 1892 esposti i suoi quadri a Berlino, causa
involontariamente la Seccessione di Berlino, quando alcuni artisti
protestano per la chiusura della mostra. Comincia in questo momento la sua
fama, e a Colonia firma un contratto con un mercante di quadri, con il quale
spartisce il ricavato dalle vendite dei biglietti d’ingresso, il pubblico,
infatti corre numeroso per vedere le cosiddette “opere dello scandalo”. Nel
1893 espone, a una mostra a Berlino, una serie di dipinti intitolati “Studio
per una serie: l’amore”, tra essi ci sono alcuni dei suoi capolavori “Il
Bacio”, “La Voce”, “Il Vampiro”, “Madonna”, “Gelosia” e “Pubertà”. Nella
serie traccia le tappe dell’amore, della pubertà fino alla maturità che
porta alla gelosia e quindi alla separazione.
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Ne “Il Bacio”, l’amore è espresso come passione, come sesso e come
perdizione di sensi; una coppia unita dal bacio perde la tenerezza del
sentimento per divenire vorace fagocitazione, i contorni dei volti
spariscono e diventano tutt’uno con le carni, il sesso diventa una minaccia.
La donna, vista da Munch come epicentro di uno sconvolgente mistero
sessuale, appare come figura demoniaca e affascinante. Ne “Il Vampiro” la
realtà sessuale risulta un senso di minaccia e di crudeltà divorante. L’uomo
è preso da senso di consunzione e viene divorato dalla donna. In “Madonna”
la donna è affascinante, è focalizzata nella tensione del corpo nudo
ostentato dalla posizione delle braccia chiuse a cerchio. Infine, in
“Pubertà” la figura della donna è ambigua. La giovane è turbata dal
passaggio dall’infanzia all’età adulta, è seduta sul letto sfatto con le
braccia incrociate, gli occhi sono spalancati e la sua ombra è proiettata
alle sue spalle, presagio di una femminilità in fieri.
Nel 1896 torna a Parigi, approfondisce i suoi studi, i suoi quadri
abbandonano i temi individuali e autobiografici per esprimere le forze
universali che regolano il destino degli uomini. A Oslo incontra Tulla
Lorsen, con la quale visita l’Italia, ma il rapporto tra i due si fa
complicato. Munch si crede un malato a vita, un alcoolizzato, uno
psicopatico, e non si sente in grado di trascorrere una vita normale con
lei. Nel 1906 frequenta la sorella del filosofo Nietzche, nei suoi quadri
esprime la violenza dei sessi, la donna è una potenza demoniaca e l’uomo e
la sua vittima, l’amore non è altro che lotta, sofferenza, gelosia,
passione, tensioni e violenza.
Nel
1908 a seguito di una crisi nervosa, dovuta probabilmente alle ubriacature
quotidiane, viene ricoverato in una clinica dove rimase sei mesi. Nel 1910
si trasferisce in una tenuta vicino a Oslo, dove dipinge il quadro “Oche nel
Frutteto”.
In questo periodo Munch cerca un nuovo dialogo con la natura, l’unica forza
secondo lui che può placare il suo animo perturbato. Non vi è l’aggressività
che c’era nelle precedenti opere, ma soltanto una riflessione. I colori sono
più delicati e lievi, le linee creano uno spazio profondo, e i rami
dell’albero in primo piano infondono un ritmo alle differenti parti del
quadro. La sua sensibilità coglie gli aspetti lirici e poetici della realtà
che lo circonda.
Nel 1922 affresca con un ciclo di dipinti la mensa della fabbrica di
cioccolato Freia di Oslo. Nel 1930 per una malattia agli occhi, smette
momentaneamente di dipingere, una volta rimesso dalla malattia viene
dichiarato artista degenerato dai nazisti e alcune delle sue opere vengono
sequestrate. Nel suo isolamento continua a dipingere. Le opere di questo
periodo sono inquietanti, mostrano un uomo nella sua solitudine e
desolazione, ossessionato dal passato, dal dolore e dalla morte.
Munch muore il 23 gennaio 1944 all’età di ottant’anni, lascia in eredità
alla città di Oslo tutte le sue opere, produzione di inestimabile valore.
Nel 1892, quando Munch erige una mostra a Berlino, alcuni artisti che lo
appoggiano si staccano dall’Associazione artisti berlinesi, si sviluppa così
anche in Germania e in Austria quel movimento culturale che si stava
diffondendo in tutta Europa, nota come Art Nouveau. Questa corrente è
conosciuta con nomi diversi, Modern style in Francia, Junderstil in
Germania, Seccessione a Vienna, Modernismo in Spagna e Liberty in Italia, è
nota anche con il nome di floreale. Gli artisti preferiscono decorare con
temi tratti dal mondo vegetale con lo scopo di dare un valore estetico a
quegli oggetti, che altrimenti verrebbero banalizzati dalla produzione in serie
dell’industrializzazione.
Uno dei maggiori esponenti dell’Art Nouveau è Gustav Klimt. Il suo stile
ricco e complesso si basa sulla composizione dei mosaici bizantini. Prevale
il simbolo, la linea elegante, morbida e sinuosa, la bidimensionalità delle
forme e l’accostamento dei colori. In un primo momento Klimt prende
riferimenti dalla pittura gotica, questo periodo viene detto aureo per il
largo uso del colore oro, usato anche per esaltare le figure. In un secondo
momento Klimt abbandona questo colore e la linea sinuosa dell’Art Nouveau,
per riprendere i colori vivaci e accesi tipici della pittura di Matisse e
dell’espressionismo.
Klimt condivide la visione del mondo con Schopenauer: “Il mondo come
volontà, come forza cieca in un ciclo senza fine di nascita, amore e morte.”
Egli in alcuni dei suoi lavori, in particolare nel quadro “Vita e morte”
(1908-1911), affronta la tematica della nascita, della morte e del
trascorrere del tempo.
Questo quadro segna il passaggio dal periodo aureo alla fase successiva.
Attraverso questa composizione Klimt vuole trasmettere il trascorrere delle
stagioni dell’anno nella sua circolarità attraverso la contrapposizione
della vita e della morte. Da una parte c’è un gruppo di persone
raggomitolate in una posizione che ricorda quella uterina, le figure
maschili e femminili sono simbolo di amore e fecondità, il bambino
simboleggia la nascita e la vita. Esse sono contrapposte alla figura isolata
della morte, essa è contrapposta all’uomo ma non vi è alcuna drammaticità o
tensione(come vi era in Munch), come si nota dalla presenza di numerose
croci. Anche i colori hanno un loro significato, sono caldi nella parte che
simboleggia la vita, freddi nella parte della morte. L’immagine della morte
è simboleggiata dal teschio che viene ripreso dal movimento della Vanitas.
La Vanitas è una corrente che si sviluppa nel XVII secolo, questo genere può
essere riconducibile a quello della “natura morta” caratterizzato dalla
presenza di oggetti che rimandano alla caducità della condizione umana.
Il termine deriva dalla parola iniziale del libro dell’Ecclesiaste “Vanitas
vanitarum, et omnia vanitas” (vanità delle vanità, e tutto è vanità). Il
tema della Vanitas ha uno scopo morale e religioso, ricorda all’uomo la
precarietà della vita terrena, lo intima al rispetto della volontà divina e
a moderare l’uso delle cose terrene. I motivi della Vanitas rimandano alla
caducità delle cose e dell’uomo, questo è rappresentato da clessidre,
candele spente, teschi, fiori recisi, frutta in decomposizione, denaro,
gioielli, pipe spente, polvere. Essi svolgono la tematica del
memento mori
“ricorda che devi morire” .
Il contenuto della Vanitas può essere suddiviso in quattro gruppi:
il primo comprende simboli della vita attiva, del sapere e del potere come
libri, strumenti scientifici o artistici, denaro, oggetti preziosi, corone e
scettri. Il secondo si riferisce ai passatempi e alle frivolezze quali dadi,
carte da gioco, strumenti musicali, boccali di birra o bicchieri di vino,
denaro, gioielli, cristalli e specchi. Il terzo indica oggetti che
significano il passare del tempo: orologi, clessidre, foglie appassite,
teschi, ossa, candele spente, animali squartati o imbalsamati, del cibo
avanzato nel piatto, pipe spente e polvere accumulata su strumenti musicali.
All’ultimo gruppo appartengono anche simboli della vita nell’aldilà: un
tralcio di edera o un ramo d’albero.
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