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“IL MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA”

“La storia di ogni società esistita fino a questo momento,è storia di lotte di classe.
Liberi e schiavi, patrizi e plebe, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in breve, oppressori e oppressi, furono continuamente in reciproco contrasto, e condussero una lotta ininterrotta,ora latente ora; lotta che ogni volta è finita o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la comune rovina delle classi in lotta.
Nelle epoche anteriori della storia troviamo quasi dappertutto una completa articolazione della società in differenti ordini, una molteplice graduazione delle posizioni sociali. In Roma antica abbiamo patrizi, cavalieri, plebei, schiavi; nel Medioevo, signori feudali, vassalli, membri delle corporazioni, garzoni, servi della gleba, e, per di più, anche particolari graduazioni in quasi ognuna di queste classi.
La società borghese moderna, sorta dal tramonto della società feudale, non ha eliminato le contrapposizioni di classe. Ha solo creato nuove classi al posto delle vecchie, ha prodotto nuove condizioni dello sfruttamento, nuove forme della lotta fra le classi.
La nostra epoca, l'epoca della borghesia, si caratterizza però per la semplificazione delle contrapposizioni di classe. L'intera società si divide sempre più in due grandi campi nemici, in due grandi classi che si fronteggiano direttamente: borghesia e proletariato.
Dai servi della gleba del Medioevo sorse il popolo minuto delle prime città; da questo popolo minuto si svilupparono i primi elementi della borghesia. La scoperta dell'America, il periplo dell'Africa crearono un nuovo terreno per la borghesia rampante. Il mercato delle Indie orientali e quello cinese, la colonizzazione dell'America, il commercio con le colonie, la moltiplicazione dei mezzi di scambio e delle stesse merci diedero un impulso fino ad allora sconosciuto al commercio, alla navigazione, all'industria, e quindi favorirono un rapido sviluppo dell'elemento rivoluzionario nella decadente società feudale. L'attività industriale fino ad allora vincolata a moduli feudali o corporativi non poteva più fronteggiare le crescenti aspettative prodotte dai nuovi mercati. Al suo posto comparve la manifattura. I maestri artigiani vennero soppiantati dal ceto medio industriale; la divisione del lavoro tra le varie corporazioni scomparve di fronte alla divisione del lavoro nella stessa singola officina.
Ma i mercati continuavano a crescere e con essi le aspettative. Anche la manifattura non bastava più. Il vapore e le macchine rivoluzionavano la produzione industriale. Al posto della manifattura si affermò la grande industria moderna, al posto del ceto medio industriale apparvero gli industriali milionari, i comandanti di intere armate industriali, i moderni borghesi.
La grande industria ha creato il mercato mondiale, il cui avvento era stato preparato dalla scoperta dell'America. Il mercato mondiale ha dato uno smisurato impulso allo sviluppo del commercio, della navigazione, delle comunicazioni terrestri. Tale sviluppo ha a sua volta retroagito sulla crescita dell'industria. E nella stessa misura in cui crescevano industria, commercio, navigazione, ferrovie si sviluppava anche la borghesia. Ed essa accresceva i suoi capitali e metteva in ombra tutte le classi di origine medievale.

Vediamo dunque come la borghesia moderna è essa stessa il prodotto di un lungo processo di sviluppo, di una serie di trasformazioni nel modo di produzione e di traffico.
Ciascuno di questi stadi di sviluppo della borghesia era accompagnato da un corrispondente progresso politico
. Ceto oppresso sotto il dominio dei signori feudali, associazioni armate e autonome nell'età dei Comuni, qui repubblica cittadina indipendente, là terzo stato tributario della monarchia, poi al tempo della manifattura contrappeso alla nobiltà nella monarchia cetuale o in quella assoluta e ancora pilastro fondamentale delle grandi monarchie, la borghesia si conquistò infine l'assoluto dominio politico dopo la nascita della grande industria e del mercato mondiale nel moderno Stato rappresentativo. Il potere statale moderno è solo un comitato che amministra gli affari comuni dell'intera classe borghese.
Dove la borghesia ha raggiunto il dominio, ha distrutto le condizioni di vita feudali, patriarcali, idilliche. La borghesia ha distrutto i rapporti feudali, patriarcali, idillici dovunque abbia preso il potere. Essa ha spietatamente stracciato i variopinti lacci feudali che legavano la persona al suo superiore naturale, e non ha salvato nessun altro legame fra le singole persone che non sia il nudo interesse, il crudo "pagamento in contanti". Essa ha affogato nelle gelide acque del calcolo egoistico i sacri fremiti della pia infatuazione, dell'entusiasmo cavalleresco, della malinconia filistea. Essa ha dissolto la dignità personale nel valore di scambio, e al posto delle innumerevoli libertà patentate e ben meritate ha affermato l'unica libertà, quella di commerciare, una libertà senza scrupoli. In una parola, al posto dello sfruttamento celato dalle illusioni religiose e politiche ha instaurato lo sfruttamento aperto, senza vergogna, diretto, secco. La borghesia ha spogliato delle loro sacre apparenze tutte le attività fino ad allora onorevoli e considerate con pia umiltà. Essa ha trasformato il medico, il giurista, il prete, il poeta, l'uomo di scienza in suoi salariati. La borghesia ha strappato alle relazioni familiari il loro toccante velo sentimentale per ricondurle a una pura questione di denaro. La borghesia ha rivelato come la brutale esibizione di forza, quella caratteristica del Medioevo che tanto piace alla reazione, abbia trovato il suo congruo complemento nella più inerte pigrizia. Solo la borghesia ha dimostrato che cosa l'attività umana può produrre. Essa ha realizzato meraviglie ben diverse dalle piramidi egizie, dagli acquedotti romani e dalle cattedrali gotiche, si è lanciata in ben altre avventure che non le migrazioni dei popoli e le crociate.
La borghesia non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione, dunque i rapporti di produzione, dunque tutti i rapporti sociali. La prima condizione di esistenza di tutte le precedenti classi industriali era invece la conservazione immutata del vecchio modo di produzione. L'ininterrotta trasformazione della produzione, il continuo sconvolgimento di tutte le istituzioni sociali, l'eterna incertezza e l'eterno movimento distinguono l'epoca della borghesia da tutte le epoche precedenti. Vengono quindi travolti tutti i rapporti consolidati, arrugginiti, con il loro codazzo di rappresentazioni e opinioni da tempo in onore. E tutti i nuovi rapporti invecchiano prima di potersi strutturare. Tutto ciò che è istituito, tutto ciò che sta in piedi evapora, tutto ciò che è sacro viene sconsacrato, e gli uomini sono finalmente costretti a considerare con sobrietà il loro posto nella vita, i loro rapporti reciproci.
La necessità di uno sbocco sempre più vasto per i suoi prodotti lancia la borghesia alla conquista dell'intera sfera terrestre. Bisogna annidarsi dappertutto, dovunque occorre consolidarsi e stabilire collegamenti.
La borghesia ha strutturato in modo cosmopolitico la produzione e il consumo di tutti i paesi grazie allo sfruttamento del mercato mondiale. Con grande dispiacere dei reazionari essa ha sottratto all'industria il suo fondamento nazionale. Antichissime industrie nazionali sono state distrutte e continuano a esserlo ogni giorno. Nuove industrie le soppiantano, industrie la cui nascita diventa una questione vitale per tutte le nazioni civili, industrie che non lavorano più le materie prime di casa ma quelle provenienti dalle regioni più lontane, e i cui prodotti non vengono utilizzati solo nel paese stesso ma, insieme, in tutte le parti del mondo. Al posto dei vecchi bisogni, soddisfatti dai prodotti nazionali, se ne affermano di nuovi, che per essere soddisfatti esigono i prodotti delle terre e dei climi più lontani. Al posto dell'antica autosufficienza e delimitazione locale e nazionale si sviluppano traffici in tutte le direzioni, si stringe una reciproca interdipendenza universale fra le nazioni. E ciò sia nella produzione materiale che in quella spirituale. Le conquiste spirituali delle singole nazioni divengono bene comune.
L'unilateralità e la delimitazione nazionale diventano sempre meno possibili e dalle varie letterature nazionali e locali si costruisce una letteratura mondiale.
La borghesia trascina verso la civiltà persino le nazioni più barbariche, grazie al rapido miglioramento di tutti gli strumenti di produzione, grazie al continuo progresso delle comunicazioni. I prezzi ben calibrati delle sue merci sono l'artiglieria pesante con cui essa atterra qualsiasi muraglia cinese, con cui essa costringe alla capitolazione financo la più ostinata xenofobia dei barbari. La borghesia costringe tutte le nazioni a far proprio il modo di produzione borghese, se non vogliono affondare; la borghesia le costringe a introdurre esse stesse la cosiddetta civiltà, cioè a diventare borghesi. In una parola, la borghesia si costruisce un mondo a sua immagine e somiglianza. La borghesia ha sottomesso la campagna al dominio della città. Essa ha creato enormi città, ha notevolmente aumentato la popolazione urbana rispetto a quella delle campagne, strappando così all'idiotismo della vita di campagna una parte importante della popolazione. Come ha reso dipendente la campagna dalla città, così ha reso dipendenti i paesi barbarici o semibarbarici da quelli civilizzati, i popoli contadini da quelli borghesi, l'Oriente dall'Occidente. La borghesia tende sempre più a superare la frammentazione dei mezzi di produzione, della proprietà e della popolazione. Essa ha agglomerato la popolazione, centralizzato i mezzi di produzione e concentrato la proprietà in poche mani. La conseguenza necessaria era la centralizzazione politica. Province indipendenti, quasi solo alleate, con interessi, leggi, governi e dogane differenti, sono state riunite in un'unica nazione, un unico governo, un'unica legge, un unico interesse di classe nazionale, un'unica barriera doganale.
La borghesia ha prodotto, nel corso del suo nemmeno centenario dominio di classe, forze produttive più massicce e colossali di tutte le altre generazioni messe insieme. Controllo delle forze della natura, macchine, impiego della chimica nell'industria e nell'agricoltura, navigazione a vapore, ferrovie, telegrafi elettrici, dissodamento di interi continenti, navigabilità dei fiumi, popolazioni intere fatte nascere dal nulla: quale secolo passato sospettava che tali forze produttive giacessero nel grembo del lavoro sociale?
Noi però abbiamo visto che i mezzi di produzione e di scambio sul cui fondamento si è sviluppata la borghesia furono creati nella società feudale. A un certo stadio dello sviluppo di questi mezzi di produzione e di scambio, i rapporti entro cui la società feudale produceva e scambiava, l'organizzazione feudale dell'agricoltura e della manifattura, in una parola i rapporti feudali di proprietà, non rappresentavano più lo sviluppo raggiunto dalle forze produttive. Più che stimolare la produzione, tali rapporti la ostacolavano. Tanto da trasformarsi in altrettante catene. Dovevano essere spezzati e furono spezzati.
Al loro posto subentrò la libera concorrenza con la costituzione sociale e politica che le è propria, con il dominio economico e politico della classe borghese.
Simile è lo sviluppo che si sta svolgendo sotto i nostri occhi. I rapporti borghesi di produzione e di scambio, i rapporti borghesi di proprietà, insomma la moderna società borghese, che ha come per incantesimo prodotto mezzi di produzione e di scambio tanto potenti, è come l'apprendista stregone incapace di controllare le potenze sotterranee da lui stesso evocate. La storia dell'industria e del commercio è ormai da decenni solo la storia della sollevazione delle moderne forze produttive contro i moderni mezzi di produzione, contro i rapporti di proprietà che esprimono le condizioni di esistenza e di dominio della borghesia. Basta citare le crisi commerciali, che nel loro minaccioso ricorrere ciclico mettono sempre più in questione l'esistenza dell'intera società borghese. Nelle crisi commerciali viene regolarmente distrutta una grande parte non solo dei prodotti ma persino delle forze produttive già costituite. Nelle crisi scoppia un'epidemia sociale che in tutte le altre epoche sarebbe stata considerata un controsenso: l'epidemia della sovrapproduzione. La società si trova improvvisamente ricacciata in uno stato di momentanea barbarie; una carestia, una guerra di annientamento totale sembrano sottrarle ogni mezzo di sussistenza; l'industria, il commercio appaiono distrutti, e perché? Perché la società ha incorporato troppa civiltà, troppi mezzi di sussistenza, troppa industria, troppo commercio. Le forze produttive di cui essa dispone non servono più allo sviluppo della civiltà borghese e dei rapporti borghesi di proprietà; al contrario, esse sono diventate troppo potenti per quei rapporti, ne sono frenate, e non appena superano questo ostacolo gettano nel caos l'intera società borghese, mettono in pericolo l'esistenza della proprietà borghese. I rapporti borghesi sono diventati troppo angusti per contenere la ricchezza che essi stessi hanno prodotto. Come supera le crisi la borghesia? Da una parte con l'annientamento coatto di una massa di forze produttive; dall'altra conquistando nuovi mercati e sfruttando più a fondo quelli vecchi. In che modo, insomma? Provocando crisi più generalizzate e più violente e riducendo i mezzi necessari a prevenirle.
Le armi con cui la borghesia ha annientato il feudalesimo si rivoltano ora contro la borghesia stessa.
Ma la borghesia non ha solo forgiato le armi che la uccidono; ha anche prodotto gli uomini che imbracceranno queste armi: i lavoratori moderni, i proletari. Nella stessa misura in cui si sviluppa la borghesia, cioè il capitale, si sviluppa anche il proletariato,
la moderna classe dei lavoratori, i quali vivono solo fin quando trovano lavoro e trovano lavoro solo in quanto il loro lavoro accresce il capitale. Questi lavoratori, che devono vendersi un poco alla volta, sono una merce come qualsiasi altro articolo in commercio e sono perciò ugualmente esposti a tutte le alterne vicende della concorrenza, a tutte le oscillazioni del mercato.
Il lavoro dei proletari ha perso ogni tratto di autonomia e quindi ogni stimolo per il lavoratore a causa dell'espansione delle macchine e della divisione del lavoro. Il lavoratore diventa un mero accessorio della macchina. Da lui si pretende solamente il più facile, il più monotono, il più elementare movimento. Il suo costo è limitato quasi esclusivamente ai mezzi di sostentamento di cui egli necessita per sopravvivere e per garantire il futuro della sua razza. Il prezzo di una merce, dunque anche del lavoro, è però pari ai suoi costi di produzione. Più il lavoro è ripugnante, più diminuisce per conseguenza il salario. Meglio: più si sviluppano le macchine e la divisione del lavoro, più cresce il volume del lavoro, sia per l'aumento dell'orario di lavoro, sia per l'aumento del lavoro richiesto in un dato periodo di tempo, per la cresciuta velocità delle macchine, ecc.
L'industria moderna ha trasformato il piccolo laboratorio del maestro patriarcale nella grande fabbrica del capitalista industriale. Le masse dei lavoratori compresse nella fabbrica vengono organizzate militarmente. Come soldati semplici dell'industria esse vengono sottoposte alla vigilanza di una gerarchia completa di sottufficiali e ufficiali. I lavoratori non sono solo schiavi della classe borghese, dello Stato borghese, ogni giorno e ogni ora essi sono asserviti dalla macchina, dal sorvegliante e soprattutto dallo stesso singolo fabbricante borghese. Tale dispotismo è tanto più gretto, odioso, amaro, quanto più apertamente erige il profitto a suo ultimo scopo. Quanto meno il lavoro manuale richiede abilità e forza, cioè quanto più si sviluppa l'industria moderna, tanto più il lavoro degli uomini viene sostituito da quello delle donne e dei bambini . Per la classe operaia le differenze di sesso e di età non hanno più alcuna rilevanza sociale. Non esistono ormai che strumenti di lavoro, distinti per il diverso costo relativo all'età e al sesso. Se lo sfruttamento del lavoratore da parte del proprietario della fabbrica cessa nel momento in cui egli riceve il suo compenso in contanti, ecco che su di lui si gettano le altre parti della borghesia, il proprietario della casa, il bottegaio, lo strozzino, ecc.
I piccoli ceti medi, i piccoli industriali, commercianti e detentori di rendita, gli artigiani e i contadini, tutte queste classi sprofondano nel proletariato in parte perché il loro esiguo capitale non basta per mandare avanti una grande industria e quindi soggiace alla concorrenza dei grandi capitalisti, in parte perché il loro talento è svalutato da nuovi modi di produzione. Sicché il proletariato è reclutato in tutte le classi della popolazione.
Il proletariato passa attraverso diverse fasi di sviluppo. La sua lotta contro la borghesia comincia dalla nascita.
All'inizio a lottare sono i singoli lavoratori, poi i lavoratori di una fabbrica, poi quelli di un ramo produttivo in un luogo specifico contro il singolo borghese che li sfrutta direttamente. Essi contestano non solo i rapporti di produzione borghesi ma gli stessi strumenti di produzione; distruggono le merci concorrenti che provengono dall'estero, fanno a pezzi le macchine, incendiano le fabbriche, cercano di riconquistarsi la vecchia posizione di cui come lavoratori godevano nel Medioevo.
In questo stadio i lavoratori costituiscono una classe dispersa in tutto il paese e divisa dalla concorrenza. Una loro resistenza più massiccia ancora non deriva dalla capacità di unirsi in autonomia, ma dall'unità della borghesia, la quale per raggiungere i propri obiettivi politici deve - e ancora può - mettere in movimento l'intero proletariato. In questo stadio dunque i proletari non combattono i loro nemici, ma i nemici dei propri nemici, i residui della monarchia assoluta, i proprietari terrieri, i borghesi non industriali, i piccoli borghesi. L'intero movimento storico è in tal modo concentrato nelle mani della borghesia; ogni vittoria così ottenuta è una vittoria della borghesia.
Ma con lo sviluppo dell'industria il proletariato non solo cresce di numero; esso si coagula in grandi masse, diventa più forte e più consapevole della sua forza. Gli interessi, le condizioni di vita dei proletari diventano sempre più simili, poiché le macchine annientano le differenze nel lavoro e precipitano il salario quasi dappertutto verso una stessa modesta soglia. La crescente concorrenza tra borghesi e le crisi commerciali che ne derivano rendono il salario dei lavoratori sempre più labile; l'evoluzione delle macchine, in continuo sempre più rapido sviluppo, ne rende l'esistenza sempre più insicura; gli scontri tra il singolo lavoratore e il singolo borghese acquistano sempre più il carattere di scontro fra due classi. I lavoratori cominciano a formare coalizioni contro il borghese; si uniscono per difendere il salario. Fino a costituire associazioni permanenti, in modo da prepararsi per queste periodiche battaglie. In qualche caso la lotta si muta in rivolta.
Qualche volta i lavoratori riescono a vincere, ma solo provvisoriamente. Il vero risultato delle loro lotte non è il successo immediato, ma il rafforzamento dell'unità dei lavoratori. Essa è facilitata dallo sviluppo dei mezzi di comunicazione prodotti dalla grande industria, che mettono in contatto lavoratori delle più varie località. C'è bisogno di questo collegamento per dare la stessa impronta alle molte battaglie locali che esplodono un po' dappertutto, per centralizzarle in una lotta nazionale, in una lotta di classe. Ma ogni lotta di classe è una lotta politica. E i moderni proletari realizzano in pochi anni grazie alle ferrovie quell'unità che gli uomini medievali crearono nei secoli con le loro strade vicinali.
Questa organizzazione dei proletari in classe, e quindi in partito politico, viene ad ogni istante nuovamente distrutta dalla concorrenza fra gli stessi lavoratori. Ma essa rinasce sempre di nuovo, più forte, più solida, più potente. Essa impone il riconoscimento per legge di singoli interessi dei lavoratori, sfruttando le divisioni nella borghesia. È il caso della legge delle dieci ore in Inghilterra.
Gli scontri nel corpo della vecchia società favoriscono in vario modo la crescita del proletariato. La borghesia è sempre in lotta: dapprima contro l'aristocrazia; più tardi contro quelle sue stesse parti i cui interessi si rivelano di ostacolo allo sviluppo dell'industria; e perennemente contro la borghesia di tutti i paesi stranieri. In tutte queste lotte essa si sente costretta a fare appello al proletariato, a prendere in considerazione il suo aiuto e a immetterlo così nel circuito politico. La borghesia forgia così gli strumenti dello sviluppo del proletariato, produce cioè le armi con cui sarà combattuta.
Inoltre, come abbiamo visto, lo sviluppo dell'industria getta parti fondamentali della classe dominante nella condizione proletaria, o quanto meno ne minaccia il livello di vita. Anche queste parti di borghesia declassata offrono al proletariato una quantità di fattori di sviluppo . In tempi in cui la lotta di classe si avvicina infine allo scontro decisivo, il processo di dissolvimento della classe dominante, dell'intera vecchia società, assume un carattere così veemente, così acuto, che una piccola parte della vecchia società se ne emancipa per unirsi alla classe rivoluzionaria, alla classe cui appartiene il futuro. Come una volta parte della nobiltà passò con la borghesia, così oggi parte della borghesia va con il proletariato, e segnatamente una parte degli ideologi borghesi, che si sono innalzati alla comprensione teorica dell'intero movimento storico.
Tra tutte le classi che oggi si contrappongono alla borghesia, solo il proletariato è una vera classe rivoluzionaria. Le altre classi vanno in rovina e tramontano con la grande industria; il proletariato ne è il prodotto più proprio.
I ceti medi, i piccoli industriali, il piccolo commerciante, l'artigiano, il contadino: tutti costoro combattono la borghesia per assicurarsi l'esistenza come ceti medi. Essi non sono quindi rivoluzionari, ma conservatori. Di più, essi sono reazionari, giacché tentano di riportare indietro la ruota della storia. Se sono rivoluzionari, lo sono in rapporto al loro prossimo passaggio al proletariato. In tal senso, essi non difendono i loro interessi attuali ma quelli futuri, e quindi abbandonano la posizione loro propria per incardinarsi in quella del proletariato.
Il sottoproletariato , questa marcescenza passiva dei ceti infimi della vecchia società, viene in qualche caso trascinato da una rivoluzione proletaria, ma per tutta la sua esistenza sarà più incline a vendersi ai reazionari intriganti. Le condizioni di vita della vecchia società sono già distrutte nelle condizioni di vita del proletariato. Il proletario è senza proprietà; il suo rapporto con la moglie e i figli non ha più niente in comune con la famiglia borghese; il lavoro industriale moderno, il moderno assoggettamento al capitale, identico in Inghilterra e in Francia, in America e in Germania, gli ha sottratto ogni carattere nazionale. Le leggi, la morale, la religione sono per lui altrettanti pregiudizi borghesi, dietro i quali si nascondono altrettanti interessi borghesi.
Una volta conquistato il potere, tutte le classi precedenti cercarono di garantirsi le condizioni di vita appena ottenute sottomettendo l'intera società alle regole della loro conquista. I proletari possono impossessarsi delle forze produttive sociali solo eliminando il loro stesso modo di acquisizione della ricchezza e quindi l'intero modo di acquisizione della ricchezza finora vigente. I proletari non hanno nulla di proprio da difendere, devono distruggere ogni forma di sicurezza privata e di assicurazione privata esistente.
Tutti i movimenti sono stati finora movimenti di minoranze o nell'interesse di minoranze. Il movimento proletario è il movimento autonomo della stragrande maggioranza nell'interesse della stragrande maggioranza. Il proletariato, ceto infimo dell'attuale società, non si può sollevare, non può elevarsi, senza far saltare in aria l'intera costruzione dei ceti che formano la società ufficiale. Non nel contenuto, ma nella forma, la lotta del proletariato contro la borghesia è dapprima nazionale. Per prima cosa il proletariato di ogni paese deve naturalmente far fuori la sua borghesia.
Descrivendo le fasi più generali dello sviluppo del proletariato, abbiamo osservato la più o meno nascosta guerra civile all'interno dell'attuale società fino al punto in cui scoppia un'aperta rivoluzione e il proletariato afferma il suo dominio grazie alla liquidazione violenta della borghesia.
Ogni società si è finora fondata, come abbiamo visto, sulla contrapposizione fra classi di oppressori e di oppressi. Ma per opprimere una classe, occorre assicurarle condizioni tali da permetterle almeno di sopravvivere in schiavitù. Il servo della gleba si è elevato a membro del Comune continuando a lavorare come servo della gleba, così come il piccolo borghese si è fatto borghese sotto il giogo dell'assolutismo feudale. Al contrario, il lavoratore moderno, invece di elevarsi con il progresso dell'industria, tende a impoverirsi rispetto alle condizioni di vita della sua classe. Il lavoratore diventa povero, e la povertà si sviluppa più rapidamente della popolazione e della ricchezza. Emerge così chiaramente che la borghesia non è in grado di restare ancora a lungo la classe dominante nella società e di dettarvi legge alle sue condizioni. La borghesia è incapace di governare perché non è in grado di garantire l'esistenza ai suoi schiavi all'interno del suo stesso schiavismo, perché è costretta a lasciarli sprofondare in una condizione che la costringe a nutrirli, anziché esserne nutrita. La società non può più vivere sotto la borghesia, insomma l'esistenza della borghesia non è più compatibile con quella della società.
La condizione essenziale per l'esistenza e per il dominio della borghesia è l'accumulazione della ricchezza nelle mani di privati, la formazione e la moltiplicazione del capitale. La condizione necessaria a creare il capitale è il lavoro salariato. Il lavoro salariato riposa esclusivamente sulla concorrenza fra i lavoratori. Il progresso dell'industria, di cui la borghesia è portatrice involontaria e passiva, produce, invece dell'isolamento dei lavoratori prodotto dalla concorrenza, la loro unificazione rivoluzionaria sotto forma di associazione. Con lo sviluppo della grande industria viene dunque sottratta sotto i piedi
della borghesia la base stessa su cui essa produce e si appropria dei prodotti. Essa produce soprattutto i suoi propri becchini. Il suo tramonto e la vittoria del proletariato sono ugualmente inevitabili.”


Percorso interdisciplinare di eleonora lenzoni milli anno scolastico 2004-2005 liceo scientifico "G.Oberdan" Trieste


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