titolo: La confezione

La pancogola poneva particola cura e grande amore nella preparazione del pane. Per questo motivo sceglieva molto attentamente i migliori ingredienti per ottenere una qualità sopraffina di pane definito nel racconto di Sandro Bolchi come "farina del cielo, neve appena calda ".
Per fare il pane occorre lievito, farina, acqua e un buon forno in cui cuocere l'impasto.
Ogni giorno la donna si accingeva alla preparazione del pane iniziando a procurarsi la farina: intorno alle cinque del pomeriggio si recava al negozio per comperarne dai 15 ai 30 kg, a seconda della richiesta della clientela.
La setacciava nella madia dove veniva preparato il lievito.
Su 10 kg di farina, tre venivano  impiegati per il lievito. Quando l'impasto era omogeneo e liscio, lo deponeva in un recipiente di legno e lo copriva con un tovagliolo.
una madia
Poi andava a coricarsi perchè doveva svegliarsi presto, in un lasso di tempo compreso tra l'una di notte e le quattro del mattino. A quest'ora, dopo aver legato i capelli in un fazzoletto bianco e indossato un grembiule (stava molto attenta alla pulizia perchè le autorità controllavano che il loro prodotto fosse conforme alla logica delle tre P: prezzo, peso, pulizia), la donna dava inizio ai lavori, non prima di aver tracciato il segno della croce sulla farina, dal momento che era molto religiosa.
Lavorava l'impasto nella madia per quattro ore, assistita dalla sorella, le figlie o anche dai mariti e figli maschi in casi eccezionali. Prendeva il lievito dal recipiente di legno, il "necice", lo deponeva nella madia, vi aggiungeva farina, acqua e sale. In questa prima parte della lavorazione l'impasto veniva chiamato "svalik". Finita tutta la farina e a impasto omogeneo, lo svalik veniva trasferito sulla gramola.
La gramola è un tavolo basso, in tiglio, posto vicino alla madia, al quale era fissata un'asse posta in orrizontale, la cui finalità consisteva nel battere l'impasto affinché acquisisse compattezza. A questo punto tagliava il blocco
d'impasto in pezzi più piccoli per lavorarli singolarmente, infine dava loro le forme che la fantasia suggeriva loro.
donna e gramola
Questo era il momento più importante per vedere come si manifestava la creatività della Servolana, a quale attribuiva un nome diverso in dialetto per ogni forma (se ne contano almeno sei, si usa la parola "biga" per indicare tutte le forme). una pagnotta
Infine deponeva la forma modellata su un lenzuolo bianco posto sul tavolo o sul coperchio della madia, stando attenta che i pani non si attaccassero. Li copriva e a questo punto non c'era da aspettare altro che lievitassero. Nel frattempo accendeva il fuoco e alla temperatura giusta infornava. La produzione giornaliera ammontava circa tra 10 e 40 kg, per cui erano necessarie da una a tre infornate. donna che lavora il pane
Mentre il pane cuoceva, la pancogola sbrigava i lavori di routine in cucina, tenendo sempre d'occhio l'interno del forno per controllare quando era il momento di voltare il pane affinché la prima fila vicina alla brace non bruciasse  e tutto il pane fosse ben cotto, naturalmente!
Per questo motivo il forno si trovava nella parte più illuminata della casa,
pancogola al forno
comunque la donna bruciava un ramoscello secco - in epoche più recenti si serviva di una lampada a olio - per aumentare la luce peraltro scarsa nella cucina.
A cottura ultimata, la donna estraeva il pane dal forno e lo appoggiava sul tavolo per un breve tempo affinché si raffreddasse, poi con fare cerimonioso lo stivava nel cesto secondo l'ordine di consegna. Il cesto o "prenier" aveva la forma rotonda e due manici, sopra di esso calava un fazzoletto bianco in modo da proteggere i pani dallo sporco. il cesto della pancogola
Ora era il momento di portarlo a vendere in città. La pancogola si metteva in moto già alle prime luci dell'alba, prima delle sei, le più ritardatarie alle otto del mattino.
Si metteva il cesto sulla testa appoggiandolo a cercine, e via si avviava a piedi in città, che dista quattro miglia dal villaggio servolano.
Le pancogole di allora dovevano essere forti e prestanti: il cesto poteva contenere fino a dieci chili di pane!
Alcune fonti bibliografiche riportano che le donne si servissero dell'asino per raggiungere il centro cittadino, ma pare che quelle fossero le donne del "breg" o circondario.
Con l'introduzione dei servizi pubblici le pancogole poterono usufruire della linea tramviaria (il due), ma solamente poche erano in grado di permettersi di comperare il costoso biglietto.
Il pane era importante per l'economia del villagio per vari motivi: costituì il primo vero e proprio inurbamento, intensificatosi poi durante la costruzione dello stabilimento della Ferriera.
Il lavoro quotidiano del pane richiedeva l'aiuto e la partecipazione di molte persone. Non tutte le servolane si occupavano del pane: alcune erano sarte, altre negozianti, ostesse, alcune proseguirono gli studi e diventarono maestre. La confezione del pane richiedeva donne robuste e prestanti: se queste mancavano, le Servolane si rivolgevano alle conoscenti o alle lattaie che venivano da più parti.
C'era inoltre una domanda di ragazzine come bambinaie, venivano richieste addirittura bambine di otto anni.
I possidenti poi necessitavano di manodopera femminile per la pulizia delle case e delle stalle o per il lavoro nei campi.
C'era pure bisogno di uomini, per lo più istriani che giungevano a Servola come zappatori di terra.
Tutti comunque si accasarono e vennero bene accettati dalla comunità locale.
La pancogola poi procurava lavoro agli artigiani: il muratore costruiva il forno e ne curava la manutenzione, il fabbro riparava la sua porta, il falegname provvedeva a costruire gli strumenti quali la tavola, la madia e la gramola, il mugnaio forniva la materia prima, la farina, i carradori la trasportavano, i negozianti e gli osti acquistavano il pane per la loro necessità e attività di ristoratori, la cui notorietà  presso i triestini era molto apprezzata, dal momento che Servola offriva oltre al pane anche ottimo vino e ostriche.
Nella bella stagione infatti il paese era meta delle gite fuori porta dei triestini.
Come si spiega la superiorità del pane di Servola?
Il suo successo era dovuto proprio all'accurata e amorevole preparazione e maestria della pancogola, la quale aveva una notevole considerazione della sua creazione: si narra che se, per caso, una parte dell'impasto fosse caduto per terra, essa non sapeva come perdonarsi della disattenzione, lo raccattava, lo puliva, lo baciava e tornava a metterlo insieme al resto dell'impasto. Pure gli ingredienti contribuivano a fare la differenza: le pancogole impiegavano farina bianca, così producevano il rinomato pane "all'italiana", mentre nelle restanti regioni dell'impero austroungarico invece si usava la farina di segala.
Oltre alla qualità, anche la vicinanza di Servola alla città costituiva un vantaggio alle panificatrici delle altre ville, cosicché il pane delle Servolane era il primo ad arrivare nelle piazze e ad essere presente quotidianamente e costantemente.

Tratto dal libro di don Dusan Jakomin "Servola: la portatrice di pane", edito dall'OPera Culturale di Servola (Trieste).
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