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 Polo, Pegolotti e Battuta sulle rotte della Cina

Il Milione non fu scritto  direttamente da Marco Polo, ma durante la sua permanenza in carcere raccontò ad un suo compagno di cella, Rustichello da Pisa, le avventure che aveva vissuto e gli eventi a cui aveva assistito nel suo lungo soggiorno in Oriente (1271 inizio viaggio): Rustichello redasse inizialmente il resoconto in francese (misto ad italianismi ed espressioni dialettali venete), e, una volta diffuso, lo scritto non fu tenuto in considerazione come veritiero dai suoi contemporanei, i quali anzi ne accentuarono il carattere favoloso e ne ricordarono soprattutto gli spunti fantastici, leggendari e misteriosi.

Ciò che balza subito agli occhi è la precisa volontà del veneziano di rendersi utile ad altri mercanti, fornendo loro notizie su usi e costumi di popoli sino ad allora sconosciuti (in questo non si discosta dai contemporanei), pur non volendo essere, il Milione, un manuale pratico per i commercianti occidentali. Nel prologo, Rustichello, che la tradizione considera trascrittore delle memorie del mercante veneziano, così si esprime "…però (Marco Polo) disse infra sé medesimo che troppo sarebbe grande male s'egli non mettesse in iscritto tutte le meraviglie ch'egli ha vedute, perché chi non le sa l'appari (le impari) da questo libro". Marco, infatti, non vuole descrivere solo le terre che ha visto, ma anche quelle di cui ha sentito parlare e riguardo alle quali è grande la curiosità dell'Occidente.
Un altro atteggiamento che lo avvicina ai contemporanei si ritrova nella mescolanza di dati reali e racconti fantasiosi, anche se Marco Polo dichiara di volersi distinguere per una maggior aderenza alla realtà: "Marco Polo, savio e nobile cittadino di Vinegia, le conta (le genti e le differenti usanze orientali) in questo libro e egli medesimo le vide. Ma ancora v'ha di quelle cose le quali elli non vide, ma udille da persone degne di fede, e però le cose vedute dirà di veduta e l'altre per udita, acciò che 'l nostro libro sia veritieri e sanza niuna menzogna".

Nel Milione, insomma, convivono il meraviglioso, tipico della letteratura cortese, incline all'enfasi e alla mitizzazione, e la concretezza della mentalità mercantile del tempo. Ai dati inerenti alla flora e alla fauna del continente asiatico, alle usanze e alle lingue locali, alle arti e all'etnografia, al sistema monetario e al clima, tutti forniti con estrema precisione, se ne sovrappongono altri che nulla hanno a che fare con la realtà. Il lettore può quindi venire a conoscenza delle usanze di alcuni popoli, riportate come in una cronaca, senza che Marco Polo esprima il benché minimo giudizio moralistico, dimostrando anzi una grande apertura mentale (ad esempio quando parla delle abitudini sessuali degli abitanti del Tibet). Ma può ascoltare anche la leggenda dei Re Magi, che il veneziano considera vera, la descrizione fantasiosa della città di Quisai o quella di Zartom, il principale porto mercantile della Cina meridionale, senza dimenticare il passo in cui si narra del mitico Cipangu, il Giappone. Quindi alla prova dei fatti, è ben difficile scoprire in Marco Polo un mercante nel senso professionale e in quello romantico della parola. Egli non si presenta mai come tale nel suo libro. Basta confrontare il Milione con la celebre Pratica della Mercatura di Francesco Balduccio Pegolotti, agente commerciale dei Bardi fiorentini in Levante al tempo di Marco Polo, per riconoscere la vastità e varietà degli orizzonti poliani di fronte alla visione esclusivamente commerciale di  un mercante italiano del Trecento. Qui nessun accento fiabesco a lontani tesori, nessun interesse per la natura e civiltà dei popoli esotici, nessuna descrizione dei paesaggi, di città, di porti e di costumi, e nemmeno un ricordo delle storielle o curiose o grossolane o salaci che i mercanti diffondevano da tempi immemorabili insieme colle loro merci, come attesta, insieme col nostro marco, il certaldese Giovanni Bocaccio.

Eppure il Pegolotti diede a quella sua guida dei commerci d'Oriente, dal Marocco a Pechino, un titolo affine a quello originale del Milione, chiamandolo Libro di divisamenti  di paesi e di misure di mercatantie, alla stegua del Divisament dou Monde di Marco Polo, colla specifica aggiunta che ne determina il carattere e lo scopo. Per il veneziano il mondo è tutto uno spettacolo che egli ritrae come può e ricorda, in una varietà di stili e di illimitate manifestazioni naturali e umane. I dati di Marco Polo sul valore delle merci, sui tipi di moneta e sulla pratica degli scambi nei paesi da lui visitati sono sempre indici della loro attività e prosperità, oppure dei loro particolari costumanze, riferiti senz'alcuna palese intenzione di schiudere quelle terre ai commercianti occidentali.

Invece dalla lettura comparativa fra i resoconti dei viaggi compiuti da Marco Polo e Ibn Battuta, emergono due sguardi che, pur avendo tratti comuni, appaiono profondamente radicati nelle matrici storico-culturali e religiose di appartenenza. Sia Marco Polo che Ibn Battuta sono ben consapevoli dell'eccezionalità della propria impresa ed entrambi, come ammettono nei loro Prologhi, credono nella necessità del narrare per poter condividere un patrimonio di scoperte. Gran parte della narrazione delle due opere è dedicata alla descrizione delle città e della loro popolazione, commercio, alimentazione, abbigliamento, abitazioni e mezzi di trasporto. E' vero che le informazioni forniteci su questi contesti di vita, come prevedibile, combaciano raramente, ma il ricercare le tante piccole differenze presenti nelle descrizioni degli stessi scenari urbani non è l'aspetto più interessante su cui soffermarsi.

Appare invece molto più affascinante capire il modo, quasi opposto, in cui i due si avvicinano alle diverse culture che incontrano durante i loro viaggi. Ibn Battuta ha come sicuro ed incrollabile punto di riferimento la cultura araba del corano e ciò che per lui conta nei viaggi è la rilevazione di ciò che è simile: la presenza dell'Islam. Ciò rende a Ibn Battuta faticoso vivere nel diverso ed egli soffre visibilmente a contatto di tradizioni, usanze e leggi tanto diverse dalle sue. Il vero e proprio 'shok culturale' non è invece sentito dall' europeo e cristiano Marco Polo che applica al diverso le elastiche griglie culturali di origine e lascia ampio spazio alla curiosità.

Questi diversi modi di rapportarsi sono ben visibili anche nel loro avvicinarsi alle religioni dei popoli incontrati. Marco Polo chiama idolatre le religioni diverse dal Cristianesimo, ma è comunque molto attento ad annotare tutti i riti delle altre religioni. Ibn Battuta, primo viaggiatore arabo a fare del viaggio una scelta esistenziale non al comando di sovrani, è totalmente interessato solo a ciò che è espressione del mondo musulmano, mondo che Marco Polo, pur non avendo basi conoscitive, critica aspramente.

Il racconto di Ibn Battuta è coinvolgente, notevole è la sua capacità di osservazione, egli ci apre un panorama completo dei personaggi, dei luoghi, dei governi e degli usi e costumi dei luoghi visitati ed è anche il resoconto avvincente di un’avventura personale. La " Rihla " costituisce inoltre un tesoro inestimabile per la conoscenza dei popoli afro - asiatici nell’epoca medievale ed ha dato un contributo importante per la nascita delle scienze sociali.

Lo sguardo dei due viaggiatori si fa molto più simile solo nella descrizione di aneddoti e leggende. Qui non esiste più la differenza tra uomo cristiano e uomo musulmano, ma solo due uomini ugualmente figli della mentalità medievale.