Continua la mia presentazione agli adulti di quel periodo denominato
banalmente adolescenza. Ho già trattato e approfondito la vita mattutina
della maggior parte dei ragazzi studenti ed ho anticipato alcuni pensieri
che gli adolescenti provano nei confronti dei personaggi più ricorrenti
(l’alieno-madre e la pazza prof.) delineandone alcuni stereotipi gettonati
su tali figure. Ora però vorrei trattare il secondo lasso di tempo di una
giornata: il pomeriggio.
La vita, fuori di scuola, ha come un altro aspetto: è come se dalla casa di
Lucifero si arrivasse ai Giardini dell’Eden. Anche quando piove l’umore non
cala; è tutto un altro pianeta. I più ritardatari, quelli che non l’hanno
già fatto nelle ore di lezione, si scandiscono la varie ore di un pomeriggio
elaborando una complessa agenda:
-
Ore
13:57 solita litigata con la madre fuori di sé con consueta sbattitura di
porta.
-
Ore
14:00 si tenta di pranzare quello che la suddetta rompi scatole ha preparato
da mangiare sperando non sia avvelenato o ancor peggio non vi si trovi
dentro un lungo capello biondo, sul quale lei ti domanderà se è sicuro sia
di sua appartenenza (ricordiamo tu sei capelli corti e castano)
-
Ore
14:22 sdraiarsi sulla poltrona tentando di guardare spezzoni di cartoni
animati GIAPPONESI (i tuoi genitori li odiano) tentando di capire se ci sono
ancora papille gustative intatte dopo il pranzo rovente
-
Ore
15:04 finiti i Simpson dirigersi all’uscio e uscire per recarsi nel posto
prestabilito nella mattinata in cui avviene l’incontro con i tuoi amici
Ed ora le cose cambiano: l’agenda mentale non serve più. Da questo momento
in poi non si stabilisce niente. Nessun piano. Si improvvisa. Le soluzioni
più in uso sono soprattutto due: l’andare al campetto per giocare a calcio
tentando di mostrare alle ragazze quanto virili siete oppure di andare in
città per vedere cd o gingilli che fanno moda. Cominciamo da quest’ultima
proposta.
Si decide di andare in centro ma per arrivarci bisogna prendere l’autobus di
linea che ti porti più vicino possibile al negozio scelto visto che,
stranamente, nessuno ha voglia di camminare. Nell’autobus tutta la compagnia
si spinge, grida, urla parole impronunciabili e si offende con battute
offensive, ma talmente tanto offensive che offendono gli altri passeggeri,
solitamente vecchi, che ti guardano con quei loro occhi (quasi coperti dalle
rughe) e ti fulminano con il loro sguardo discutendo con la vicina di posto,
anche lei piuttosto anziana, che ai loro tempi ciò non accadeva.
Una volta scesi (spesso una fermata più avanti perché parlottando si perde
la cognizione dello spazio ed del tempo) ci si dirige al negozio di cd più
“in”. Ci si perde tra i mille scaffali di musica dance, quelli da molti
evitati per paura di essere visti ed essere chiamati TRUZZI (i truzzi sono i
ragazzi “gasati”). Alla fine si giunge al reparto esclusivamente riservato
ai Metal ed ai Rock. Lì si passa una buona mezz’ora discutendo su quali
siano i più belli. Comunque alla fine si torna a casa senza aver comprato
niente e arrivi ad una tragica conclusione: hai sprecato un pomeriggio
intero senza aver fatto nulla di utile.
Ma la parte che preferisco è riservata al gioco del calcio praticato al
campetto. Lì sì che ci si diverte. Tu arrivi con i tuoi amici e vedete
subito dei bambini che giocano. Vi avvicinate e insieme decidete di fare una
partita: i grandi contro i piccoli. Pensi subito ad una presa in giro, che
sarà un massacro che non ci sarà neppure il tempo di riscaldarsi che avrete
già vinto. Ma è qui che ti sbagli. Comincia la partita. I piccoli, già in
possesso palla, avanzano ed è già battaglia. Tu con uno scatto riesci a
rubar palla, ma mentre ti gasi sperando che qualche bionda ti veda, i
marmocchi ti circondano e con quelle piccole gambette ti fregano la sfera.
Paiono come formiche. Ti spuntano da dietro, da destra e da sinistra e tu ti
senti disperso. Grande grosso come sei hai paura di fare loro male e quindi
ti manca il coraggio di ogni iniziativa. E così arriva il primo gol. La
partita è ancora giocabile ma quando la paura ti spunta quando devi tirare
in porta beh, là è grave. Quel piccolo portiere ti fa pena. Te lo vedi
davanti con la faccia grondante di sangue accasciato a terra che piange dopo
aver preso una pallonata in pieno viso. I bambinetti vi sfottono perché
pensano di vincere per bravura. Tu sai che fai la cosa giusta ma l’ira ti
pervade. Non puoi permettere che dei marmocchi lattanti ti sfottano. Prendi
la palla fratturando una gamba al suo ex possessore, ti avvii verso la metà
campo schivandoli tutti. Le formiche a loro volta ti fanno passare. Arrivi
davanti al portiere e calci un pallone imprendibile ma l’ultimo difensore si
tuffa ma si accorge tardi di aver commesso un grave errore. La sfera lo
colpisce e lui si mette a gridare ed a piangere ed è allora che ve la
svignate per paura che alla sera qualche genitore chiami i tuoi e dica loro
tutto. Tornando a casa ripensi a quanto sei stato crudele ma ripensi: “Non è
colpa mia: Sono stati gli ormoni.” e ti autogiustifichi.
Ed è così che si conclude il secondo capitolo della saga.
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