Una classe da sogno.

di Fabio Albanese

Suonò la campanella d'inizio dell'ultima ora.

Avevo preparato una lezione bellissima per quel giorno. Attraversai veloce il corridoio ed entrai in classe. Davanti a me 20 ragazzi mi aspettavano in religioso silenzio, ritti in piedi. Presi posto dietro la cattedra, salutai: "Buon giorno ragazzi.". Un coro perfettamente uniforme mi rispose all'unisono: "Buon giorno professore.". Che sensazione magnifica...

"Accomodatevi", dissi, "e aprite il libro di testo a pagina 76...". I ragazzi ringraziarono e si sedettero, senza fare il minimo rumore, salvo quel poco necessario per spostare leggermente la sedia, ma glielo perdonai, in fondo l'attrito non l'avevano inventato loro e poi avevano dimostrato di saper ottimizzare al massimo lo spazio necessario per passare dalla posizione retta a quella seduta, nel tempo minore possibile.

Era dall'inizio dell'anno che mentalmente cronometravo quanto ci impiegassero, stavano migliorando, stavano crescendo, non c'erano dubbi.

Con agile serena compostezza aprirono simultaneamente il libro alla pagina da me indicata... che suono piacevole, non un attimo di ritardo, un unico frusciante armonioso movimento di pagine. Ed ora, immobili, i miei ragazzi, attendevano: il libro aperto a pag. 76 sulla sinistra del banco, al centro il quaderno aperto sulla pagina intonsa, tenuto con cura, come avevo loro insegnato, in mano la penna, naturalmente nera... lo sanno bene che odio che scrivano in rosso: il rosso serve a me, serve a correggere i loro errori...

I loro occhi erano fissi su di me in trepidante attesa che dalle mie labbra uscisse quel suono armoniosamente modulato attraverso il quale avrebbero potuto dissetare la loro sete di conoscenza.

"Allora, ", esordii, " il periodo storico che prenderemo in considerazione oggi... ". La mia voce rieccheggiava nel più assoluto silenzio. Nessuno fiatava, nessun rumore fuori luogo. I loro sguardi erano fissi su di me, in una sorta di tacita contemplazione. Ed io irrigavo le loro coscienze con fiumi di parole, mentre, con leggiadra sollecitudine, essi li trasformavano in segni ordinati.

Sapevo che mi ammiravano e questo mi rendeva orgoglioso di loro. Terminai la spiegazione. "Tonini", dissi. "Si, professore", rispose Tonini, alzandosi in piedi prontamente, come io desideravo. "Sapresti riassumere quanto ho appena esposto ?", chiesi con voce ferma, come richiede la situazione. "Certo, professore, abbiamo preso in considerazione... ".

Perfetto. Non un solo errore. Mentre i compagni ascoltavano senza fiatare, senza suggerire, senza fare il minimo gesto, senza dimostrare la minima stanchezza, l'esposizione di Tonini, curata, dettagliata e al tempo stesso sintetica quanto serve.

-Merito mio- pensai. Sono un insegnante veramente in gamba; ero certo che avrei potuto chiamare chiunque tra loro, al posto di Tonini, e il risultato sarebbe stato lo stesso. Assegnai loro i compiti per il giorno seguente. Suonò la campanella. Mi alzai. I ragazzi fecero altrettanto in perfetto ordine. "Arrivederci ragazzi". "Arrivederci professore".

Uscii dalla classe e li sentii sedersi nuovamente composti. Che ordine, che disciplina. Che classe da sogno. Il bidello entrò in classe appena uscii. "Anche per oggi é finita", disse borbottando fra sè.

Si avvicinò ad un quadro elettrico, abbassò la levetta dell'interuttore, si spensero le luci, ne abbassò un'altra, si spensero gli occhi dei ragazzi mentre all'unisono emettevano un prolungato "beep".

"Game over".


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