La fata disubbidiente

Solo le fate, sveglie, girovagavano in quel mondo silezioso.
Una di loro però era davvero preoccupata perché, senza dire niente a nessuno, aveva disubbidito ai voleri della principessa e invece di consegnarla ad un sonno eterno, aveva deciso che se non doveva essere necessariamente un principe a svegliarla lo poteva fare un qualuque uomo del regno che piacesse alla principessa. E la fata ora, a mente fredda, era davvero contrita, perché si chiedeva, quale uomo del regno sarebbe mai potuto piacere alla principessa, se neppure un principe azzurro l’accontentava.
Tutto il mondo poteva essere quindi condannato al sonno eterno.
Passarono i cento anni senza che la fata timorosa avesse mai fatto neppure una visita alla principessa addormentata nel bosco. E quindi, non assistette neppure a ciò che accadde quello stesso giorno: le mani della principessa piano piano presero vita, si animarono e così pure i suoi occhi che piano piano si aprirono. Ehm, le prime parole che la principessa emise sono abbastanza irripetibili e tutte indirizzate alla fata disubbidiente ma poi, sentì come un peso o forse un laccio che le bloccava i movimenti, sulle prime non capì, eh, ce ne vuole di tempo per svegliarsi bene dopo cento anni di sonno! Poi vide cos’era: la sua mano sinistra afferrava un’altra mano. Si tirò su a sedere e vide il suo amico ancora addormentato lì vicino a lei come cento anni prima era accaduto ma a sua insaputa.
Un moto di tenerezza la colse, lui non l’aveva lasciata, aveva accompagnato il suo lungo sonno in modo tranquillo e discreto e a lei la cosa fece piacere.
Fu quello il pensiero magico che tutto portò alla vita: le tenebre si aprirono, il sole spuntò di nuovo nel cielo e tutta la natura riprese il suo moto perpetuo.

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