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Cuore di fata
Berthon, libri e misteri
Triesterivista

 

 

 



Immagine tratta dal libro:
"Le penne del drago" (Adelphi, 2002) Illustrazioni di Ol'ga Dugina e Andrej Dugin

 

biblio-teche
di Margherita Venturelli

 

Che abbia gli scaffali in metallo o che sia in legno brunito – ne è un esempio il gioiello ligneo di San Daniele del Friuli - che sia la Nazionale o una comunale, entrare in una biblioteca è un’esperienza sensoriale, oserei dire fisica, perché investe tutti e cinque i sensi umani.
Varcare la soglia di una biblioteca a scaffale aperto, dove i libri sono alla diretta portata del lettore, è una gioia per gli occhi: lo sguardo corre lungo gli scaffali, ne osserva i ripiani finché non si sofferma su un libro e, con lo stupore di un bimbo che, a forza di scavare, scopre una conchiglia sepolta dalla sabbia, se ne sfiora il dorso e lo si sfila infine dallo scaffale. Reggere tra le mani un libro dà la sensazione di possedere un frammento del sapere universale: le dita accarezzano le pagine, nello sfogliarle puoi cogliere il sottile sfrigolio della carta; alle orecchie giunge il mormorio di studenti chini sui testi nella sala da studio e l’allegro vociare di un gruppo di bimbi nello loro saletta.
La biblioteca possiede anche un odore, un misto di inchiostro e di stantio, di nuovo e di vecchio, sprigionato da libri freschi di stampa o da pagine consumate dal tempo.
Non sono stati ancora inventati i libri da portare al palato; forse nella mitica “Fabbrica di cioccolato” di Roald Dahl se ne potrebbe assaggiare uno ricoperto di pralina fondente. Ma l’immaginazione del lettore è capace di superare ogni confine ed allora puoi riempirti la bocca di gusto con l’“Aphrodita” di Isabel Allende così come leggere “Il Profumo” di Suskind equivale ad affondare le narici negli odori, non importa se puzze o fragranze, del XVIII secolo.
Perché intitolare così questa rubrica? In primo luogo, perché di biblioteche ce ne sono tante e ognuno di noi, in realtà, ne possiede una. Stando alla nuda definizione, basta avere una manciata di libri e collocarli secondo un criterio, anche personale, per formare una raccolta; risalendo all’etimologia della parola, biblioteca non è infatti altro che una raccolta, un contenitore – teca appunto – di libri, una vetrina aperta il cui contenuto è visibile ed accessibile a tutti.
Di volta in volta, le riflessioni ospitate nella neonata rubrica avranno come “occasio” la lettura di uno o più libri in cui mi imbatto nel mio vagare tra gli scaffali. Se volete, il risultato che ne deriverà, mettendo in fila tutti i libri citati, sarà appunto la formazione di un’ulteriore biblioteca da cui, insaziabili, ripartire alla volta di nuove ed inedite letture. E’ un po’ come intraprendere la salita lungo un sentiero di montagna: se ne conoscono l’imbocco e la meta, dalla quale si spalancano ampi orizzonti, ma incognito è il percorso, irto e tortuoso, che a tratti si snoda su una cresta rocciosa e a tratti penetra in un bosco fitto. Come dire, leggere è un’avventura.
Sentite cosa dice Daniel Pennac nel suo “Come un romanzo”, un libro che –a costo d’essere accusata di eresia – a tutti gli educatori consiglio come fosse il Vangelo: “Il tempo per leggere, come il tempo per amare, dilata il tempo per vivere”. E ancora:” La lettura è come l’amore, un modo di essere”.

Questa rubrichetta vuole un omaggio alle biblioteche, grandi e soprattutto a quelle piccole, di paese, dove recarsi per scovare libri spesso altrove introvabili e, perché no, scambiare magari due chiacchiere con chi ci lavora.
Le pagine che riempiranno lo spazio concessomi scaturiranno tutte dalla lettura di un libro, scelto appunto in biblioteca, e si concluderanno con l’invito a ritrovarlo, quel libro, in uno scaffale sempre di biblioteca.


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