Indonesia

Morfologia del territorio


L’Asia di sud est è un’area dominata dal mare, che occupa circa l’80% dell’intera regione. Le terre emerse si estendono su una superficie molto vasta, pari a circa 4.500.000 kmq, e si suddividono in una porzione continentale e in una insulare.

Nella regione ci sono estreme diramazioni orientali dei rilievi Himalayani che si allargano in direzione del mare a ventaglio, con cime che arriva fino a 5000m.

La porzione insulare è compresa da tantissime isole, le quali formano l’arcipelago dell’Indonesia e delle Filippine. L’Indonesia è il più grande arcipelago del mondo: comprende l’arcipelago delle Molucche e quello della Sonda. L’arco della Sonda è costituito da Sumatra, Giava e dalle isole minori fino a Timor. Fa da ponte tra l’estremo sud del continente asiatico e l’Oceania. La catena settentrionale di Borneo appartiene forse a una linea strutturale comune con l’arco delle Filippine. L’Indonesia è circondata a nord, e est e a sud da profonde fosse sottomarine, tra cui la fossa di Giava profonda 8mila metri. Le barriere coralline arrivano fino a 2mila metri d’altezza. Le isole sono la continuazione delle catene continentali e sono composte da circa 300 vulcani, che compongono un arco lungo il bordo esterno; di cui, in Indonesia, solo 128 sono attivi. Questi vulcani fanno parte delle cosiddette cinture di fuoco, fasce vulcaniche che si distribuiscono prevalentemente sulle coste che circondano l’Oceano Pacifico. Uno dei più grandi danni subiti dall’Indonesia, a causa delle eruzioni vulcaniche, fu nel 1883-1884, dove due terzi dell’isola di Krakatoa furono distrutti. La zona sotto i vulcani rimane tuttavia quella più fertile e quindi più abitata. L’area è caratterizzata da frequenti terremoti a causa dell’origine geologica recente, infatti è ancora in fase di assestamento.

Il clima è caldo-umido monsonico ed equatoriale che danno vita ad una lussureggiante vegetazione, talmente fitta da risultare addirittura ostile. Dalla foresta si ricava scorza di china (di cui l’Indonesia ha quasi il monopolio mondiale), legnami pregiati, come tek, ebano, legno di sandalo e canfora. Le alte cime dei vulcani non fermano gli influssi del mare, agevolati anzi dall’esigua larghezza delle isole. L’escursione termica annua è quasi nulla. Gli alisei si caricano di umidità nel lungo percorso oceanico, provocando incessanti mesi di pioggia nelle isole di Giava, Sumatra e Kalimantan, fino ad arrivare a 4,5 m di pioggia all’anno. Verso est e nelle zone interne delle varie isole, dopo Giava, inizia a manifestarsi una savana sempre più arida, poiché qui l’aliseo è ancora un vento asciutto.

  Popolazione

  L’Indonesia è composta da 13.677 isole di cui solo 3000 sono abitate, tuttavia si colloca tra i paesi più popolosi del mondo. Le più importanti sono Sumatra, Giava (dove è situata la capitale: Djakarta), Borneo e Celebes. Causa il grosso e veloce incremento demografico, proprio di molti paesi del terzo mondo,  una forte porzione di giovani (quasi il 40% della popolazione) è sotto i quindici anni, non ha un impiego garantito. La durata media della vita è di circa 55 anni, mentre la mortalità infantile è in diminuzione. La maggior parte della popolazione è di ceppo malese, nonostante esistano minoranze di negritos e melanesiani. Esistono inoltre minoranze di cinesi i quali sono estraniati dal governo, inoltre il passaporto cinese costa più che quello indonesiano, ai cinesi non è permesso stare a Djakarta dopo le 22:00, infatti devono stare a China-town. Un cinese deve assicurarsi tre lavori per vivere. Vivono perlopiù in totale miseria, infatti nei mercati a loro destinati la merce è scadente, dall’odore nauseante, vista la situazione arrivano persino a cibarsi di coccodrilli, tartarughe e serpenti. E’ vietato scrivere in caratteri cinesi fatta eccezione per i templi buddisti. La miseria non riguarda solo i cinesi, ma affligge anche molti indonesiani (il 10% della popolazione totale di 8,5 milioni); sono molto diffuse le baraccopoli che si concentrano lungo il fiume inquinato e contaminato. Sotto il ponte principale vivono più di cento famiglie. I bambini giocano e fanno il bagno in queste luride acque, e naturalmente le malattie si diffondo sempre più. I bambini giocano nel fango, ci sono pochi negozi di verdure nei quali si vende anche acqua. Le minoranze europee, indiane e arabe sono irrilevanti numericamente, ma la loro influenza economica e culturale è evidente nelle principali città. La lingua ufficiale è l’indonesiano, ma vengono parlati molti dialetti. L’87% degli indonesiani hanno come religione quella islamica, il restante della popolazione si divide tra buddisti (Palembang/Sumatra), induisti (Bali, Lombok) e cristiani: protestanti (Sumatra) e cattolici (Flores e Timor). La causa principale del problema demografico sta nel fatto dell’irregolare distribuzione della popolazione sul territorio nazionale. La densità media è di 91 ab/kmq, ma la popolazione si concentra perlopiù a Giava e Madura (750 ab/kmq). Nonostante la popolazione urbana sia in notevole aumento è comunque una minoranza rispetto a quella rurale. La popolazione è in forte crescita: si prevedono 286 milioni di abitanti per il 2025. Molte città tra cui Djakarta hanno avuto una crescita molto veloce e disordinata, che ha superato gli 8 milioni di abitanti. Nella parte orientale dell’isola di Timor vive una popolazione chiamata “Maubere”, mescolanza di melanesi e malesi. Ancora oggi la situazione è critica, poiché l’ONU e i governi di vari altri paesi non riconoscono l’annessione del Timor est all’Indonesia ed esigono il ritiro delle truppe d’occupazione

Storia

  L’Indonesia fu popolata fin da tempi antichissimi, sono stati trovati a Giava, infatti, resti di uomini preistorici. Quando il mare non separava ancora la parte continentale dall’arcipelago indonesiano, i passaggi erano particolarmente facili, ma lo rimasero anche dopo: da tempi antichissimi lo stretto fu percorso con i più svariati tipi di imbarcazione. Gli abitanti più antichi di cui si abbia notizia dovettero essere di pelle scura. Più tardi, con il progredire dei traffici, regni potenti fiorirono a Sumatra, grazie al controllo dello stretto di Malacca. Si hanno testimonianze sull’enorme ricchezza di questi re dai commercianti arabi del Medioevo, che venivano per il commercio di canfora, aloe, garofano, sandalo, noce moscata. Sulla regione dominarono dapprima popolazioni di origine indiana, influenzandola notevolmente; ma dopo il Mille la cultura venne gradualmente sostituita da quella musulmana. Sola eccezione, l’isola di Bali, in cui è rimasto intatto l’induismo e il suo folklore. L’ultima grande migrazione fu quella cinese, di cui l’Indonesia ospita ancora 7 milioni, questi svolgono soprattutto attività commerciali. Le loro comunità sono molto unite, non si mescolano con la popolazione indigena e restano legate alla Cina. Nel 1510 i Portoghesi si istallarono a Goa, facendone la loro principale base di commercio nell’Oceano Indiano. L’interesse principale dei Portoghesi in questa regione era il commercio delle spezie: nell’Europa Medievale se ne faceva largo uso sia a livello alimentare che in campo sanitario (si credeva che la noce moscata potesse rimediare alla peste). Gli arabi erano un tramite necessario per il trasporto delle merci in Europa e ne traevano quindi grandi vantaggi; fu il desiderio di scavalcare questi fastidiosi intermediari per raggiungere direttamente il paese delle spezie e quello contro l’islam a avviare le grandi spedizioni marittime del 1400/1500 d.C. Dopo la conquista di Malacca, e del suo stretto, i Portoghesi si impadronirono anche delle Molucche; miravano infatti a costruire basi idonee a controllare il commercio. Dopo i Portoghesi, furono gli Olandesi a prevalere sull’Indonesia, occupando dapprima Batavia, città dell’isola di Giava, e dopo averla distrutta ricostruirono sopra l’attuale capitale indonesiana: Djakarta. Dopo qualche decennio si impadronirono anche di Malacca, togliendola ai Portoghesi. Tra il 1819 e il 1824 gli inglesi riuscirono a far cedere agli Olandesi Malacca, acquistando il controllo dello stretto. Verso la metà del secolo anche il Borneo settentrionale passò agli inglesi, impegnati a contrastare i pirati assai attivi in quelle aree. Verso la fine del secolo scorso gli olandesi tenevano quasi tutto l’arcipelago indonesiano, tranne il nord Borneo degli inglesi e Timor orientale dei Portoghesi. All’inizio Olandesi e Inglesi cercavano soprattutto spezie, però con l’occupazione di vasti territori le loro mire si spostarono sullo sfruttamento agricolo di quest’ultimo. I migliori terreni furono trasformati in grandi piantagioni destinate all’esportazione di tè, caffè, canna da zucchero, palma da cocco e da olio, caucciù. Le colture di riso diminuirono, molti contadini rimasero senza lavoro e gli olandesi cominciarono a praticare forme di lavoro forzato per garantirsi la manodopera necessaria. Nell’Otto-Novecento si affiancò allo sfruttamento agricolo quello delle risorse minerarie ( tungsteno, petrolio), si trattò tuttavia di esportazioni fini a se stesse, assolutamente non interessate alla sorte dei popoli soggetti. L’agricoltura non si sviluppò e rimase un settore completamente distaccato da quello progredito delle piantagioni. L’industria non fu neppure introdotta dagli olandesi, per non incontrare la concorrenza della manodopera locale. L’europeizzazione della cultura locale portò  alla nascita del sentimento nazionale, esso nacque sia nella borghesia indigena, alla quale non era lasciato abbastanza spazio nel commercio straniero, sia nei contadini costretti a campi di lavoro. L’indipendenza fu avvantaggiata da tre episodi: nel 1905 la vittoria del Giappone sulla Russia provò che le potenze europee non erano invincibili; nel 1917 la vittoria della rivoluzione russa accese il desiderio di rivolta nei popoli; nel 1929 una grossa crisi economica sconvolge tutto il mondo infuocando ancora di più le proteste. Le potenze coloniali reagirono in due modi: repressero più ferocemente la popolazione, torture, massacri, fucilazioni e campi di concentramento sono all’ordine del giorno; chiamarono un limitato numero di indigeni a partecipare alla vita politica, soluzione insufficiente perché il numero era troppo limitato. La Seconda Guerra Mondiale costituisce quindi una fase decisiva: i giapponesi liberano la zona e sebbene il popolo non si sottometta ed essi, ne approfitta per scacciare gli inglesi. Dopo la guerra le potenze coloniali trovano sempre più ostacoli nel ristabilire l’ordine nelle colonie. Nel 1945 l’Indonesia si proclama indipendente, ma l’Olanda manda le sue truppe, solo dopo anni di trattative e sanguinosi combattimenti si rassegna a ritirarsi. Dopo la conquista dell’indipendenza dall’Olanda, l’Indonesia fu guidata da un leader nazionalista, Sukarno. Nel 1965 i militari presero il governo con un colpo di stato che provocò 500.000 morti, da allora il generale Suharto venne eletto più volte presidente della repubblica, ma esercitando di fatto una dittatura: ¼ dei funzionari di governo erano eletti direttamente da lui, scelti tra i militari. A partire dal 1996 il regime ha cominciato ad andare in crisi, nel 1998, in seguito ad una crisi economica, Suharto abbandona il governo sostituito da Habibie. Il potere, tuttavia, è ancora in mano ai militari.

Economia

  Nonostante l’Indonesia sia ricchissima di risorse naturali, rimane comunque un paese sottosviluppato. L’attività più diffusa è l’agricoltura, divisa tra quella di sussistenza, praticata dai piccoli proprietari terrieri e quella destinata all’esportazione controllata dalle multinazionali (perlopiù americane). I principali prodotti per l’esportazione sono caucciù, tè, tabacco, canna da zucchero, cocco, oli vegetali, caffè, spezie, hevea. L’agricoltura di sussistenza è molto praticata, perché il popolamento sparso non consente di praticare quella estensiva, così come la morfologia del territorio non consente un altro tipo di popolamento. Il prodotto principale è il riso, talvolta coltivato senza irrigazione, seguito poi dal legname, dal taro e dal sago. Nelle zone più abitate per mezzo dell’irrigazione, si ottengono due raccolti annui: uno di riso nella stagione delle piogge ed uno di mais, soia o arachidi nella stagione secca. Nelle isole della Sonda il mais sostituisce il riso come alimento principale, data la maggiore aridità del terreno. L’Indonesia è al secondo posto, dopo la Malaysia, tra i produttori mondiali di caucciù e di olio di palma, al sesto tra quelli di tabacco e al settimo tra quelli di tè. Tuttavia, nonostante l’agricoltura di carattere intensivo di Giava e nonostante sia al terzo posto tra i produttori mondiali di riso, l’Indonesia non è autosufficiente per quanto riguarda il fabbisogno alimentare della sua popolazione e fa quindi appello all’importazione. L’economia è basata anche sulle risorse minerarie, grazie alle quali (petrolio, uranio, stagno, bauxite, manganese) sono sorte infrastrutture per il trasporto di minerali verso le coste e industrie di base. Le risorse minerarie hanno grossa importanza in quanto costituiscono i 2/3 dell’esportazione del paese, tuttavia il loro contributo alla formazione del p.i.l. è quasi nullo poiché impiegano meno dell’1% della popolazione. La risorsa più rilevante è il petrolio, estratto a Giava, e l’Indonesia è uno dei maggiori produttori mondiali di petrolio. Lo sfruttamento dei giacimenti è affidato a imprese straniere, ma tutto il minerale rimane proprietà dello stato indonesiano, che si occupa anche della raffinazione. Crescente importanza ha anche il gas naturale, estratto a Sumatra ed esportato liquefatto. Sviluppato è anche il settore della lavorazione dei prodotti agricoli, specialmente quello tessile. L’allevamento ha uno sviluppo relativamente limitato a causa della religione e della sovrappopolazione; ci sono bovini, bufali, caprini, ovini, suini e volatili. La pesca rappresenta una grossa risorsa. Lo smisurato sfruttamento forestale, nonostante  i guadagni economici che porta, è divenuto di recente oggetto di restrizioni a tutela dell’ambiente. Uno dei maggiori problemi dell’Indonesia è rappresentato dalle comunicazioni: la rete ferroviaria e quella stradale sono ridottissime, leggermente sostenute dalla marina mercantile.

  Situazione attuale

  In Indonesia sta diminuendo considerevolmente l’influenza occidentale, in seguito alla rivendicazione sempre più accentuata del suo carattere islamico e malese da parte della popolazione. Anche l’Australia ha un’influenza importante in questa regione, infatti tende ad allentare i legami storici che ha con l’Europa occidentale e proietta il suo avvenire nel mondo insulare del Pacifico. La situazione rimane molto inquieta poiché nessuna repubblica indocinese ha conquistato l’indipendenza facilmente. La ragione di questo passato così drammatico sta nella notevole importanza strategica della regione.

Indonesia, Malaysia, Filippine, Singapore, Thailandia e Brunei fanno oggi parte dell’ASEAN, un organismo di coordinamento politico-economico a livello regionale, che si occupa anche delle iniziative diplomatiche che servono a mantenere stabile la zona. Questo schieramento tende oggi a divenire sempre più flessibile, in seguito alla dissoluzione dell’Unione Sovietica. Ma c’è anche una tendenza contraria: proprio la diminuzione di potere politico sulla zona fa si che ci siano reciproci timori tra gli stai dell’ASEAN. E questo provoca che quasi tutti gli stati siano oggi impegnati nell’acquisto di armi più o meno moderne: un vero pericolo per la stabilità della regione.

  Arte

  Non ci sono testimonianze della fase neolitica dell’arte indonesiana, ma la successiva età del bronzo ci lascia un’arte decorativa simile a quella cinese: asce cerimoniali e tamburi di bronzo sono di particolare interesse. Della successiva fase non sono stati trovati molti reperti se non dolmen e menhir a sud di Sumatra. La tradizione artistica indonesiana in epoca storica si divide in due correnti, una discende dalle culture autoctone, l’altra è legata all’influenza indiana. A questa succedette l’arte indo-giavanese: essa è ispirata a simboli, religione e cultura indiana. Le opere di architettura e di decorazione sono localizzate quasi unicamente nel centro di Giava, dove troviamo numerosi templi. Come in India essi servono a contenere immagini di culto, induistiche o buddistiche, e la loro forma geometrica ha un significato esoterico. Uno di questi, la montagna cosmica, presenta innumerevoli rilievi illustranti la vita del Buddha e pie leggende, si distinguono da quelli indiani solo per la maggior grazia dei movimenti raffigurati e per la maggior dolcezza dei tratti. Un altro importante complesso è costituito dai templi dell’altopiano di Dieng. Si tratta di santuari di piccole dimensioni, la cui forma piramidale riproduce fedelmente la cultura indiana. L’ingresso è raggiungibile attraverso una scalinata ricurva ed è decorato da una testa mostruosa sul vertice e due mostri di profilo ai lati. Prambanan è l’ultimo grande tempio di Giava centrale: con il cambiamento di potenza al governo, il centro della civiltà artistica si sposto sulla parte est dell’isola. Le opere architettoniche di Giava orientale sorsero tutte a partire dalla fine dell’900, con uno stile nuovo che tuttavia ripropone tendenze locali. I santuari sono ora sempre raggruppati in modo da formare grandiosi complessi architettonici dentro recinti interrotti da porte monumentali. Le porte, una per ogni facciata, di cui tre finte, sono sormontate da un’enorme testa di una divinità indiana, ma non si trovano più i due mostri di profilo ai lati e nemmeno il portico. Si aggiungono terrazze a più piani, piscine sacre; i gradini ricurvi di fronte all’ingresso sono ornati da bassorilievi. La figura umana perde importanza a favore del paesaggio.


La tradizione indo-giavanese sopravvisse anche nell’isola di Bali, dove troviamo templi a torre, con tetti in legno e piani multipli. Infine l’arte giavanese è stata anche influenzata dall’avvento dell’Islam: si innalzarono moschee in tutta l’Indonesia.

  Lo stile musulmano si è completamente adeguato al gusto locale, con analoghe forme architettoniche e decorative.

  Musica

  Di particolare significato sono le danze indonesiane, soprattutto a Giava e a Bali, poiché alla coreografia è legata la narrazione di drammi a sfondo storico-religioso. A Bali la danza e la mimica sono insegnate ai giovani fin dalla più tenera età, i più dotati vengono poi mandati in scuole specializzate in questo tipo di balli. Lo spettacolo non necessita di grosse scenografie, ma di una grande ricchezza di costumi; i ballerini-attori, che recitato solo con i gesti sono accompagnati da una tipica orchestra chiamata gamelan.

    Letteratura

  La letteratura non ha un rilievo molto importante nella cultura indonesiana, si è sviluppata per lo più negli ultimi anni per mazzo delle riviste di partito. Dopo il colpo di stato del 1965, nasce un nuovo orientamento occidentalista, che trova in una concezione di umanesimo universale i punti di incontro fra gli elementi della tradizione indigena e i grandi modelli delle letterature straniere. Interessante per chiarire e illustrare il processo di modernizzazione e occidentalizzazione della letteratura indonesiana contemporanea è anche l’ampia produzione di fumetti. Anche se con argomenti lontani dall’impegno sociale, questi scrittori contemporanei rispecchiano comunque l’evoluzione di una società che vive rapidissimi cambiamenti. Il più notevole è certo l’utilizzo della lingua bahasa dell’Indonesia, che si distacca da un uso classico, per arricchirsi di nuove espressioni, tra cui primeggia il dialetto di Djakarta che sta togliendo il ruolo alla lingua vera e propria.